NON TI IMPORTA CHE NOI MORIAMO?

Chissà quante volte questa frase nel corso della storia degli uomini è stata ripetuta, rivolgendo una accusa ben determinata a Dio, che nel caso del bisogno appare assente; assente mentre gli uomini nel tempo favorevole non lo ricercano e non se ne occupano, vantando una indipendenza dalla Sua volontà e perseguendo i loro disegni di tenebre e di morte. Questa invocazione dei discepoli di Gesù (Ev. Marco 4:38) non sfugge alla logica evidenziata e sottolineata come senza fede in Cristo, ogni difficoltà diventi insormontabile; solo la presa per mano di Gesù nella situazione può mutare l’indirizzo. Comunque occorre prendere atto di una volontà superiore, ignota a noi nella sua profondità, ma che corrisponde a un volere divino a noi sconosciuto e indistinguibile nei fini. Difronte a eventi superiori alle nostre forze è bene nella consolazione della preghiera, assumere la posizione di (Atti 21:14) Sia fatta la volontà del Signore.

La fede come risorsa nell’attesa della risposta

In questo particolare periodo, in cui a causa del virus siamo impediti a compiere alcune nostre azioni quotidiane e reclusi in casa, abbiamo più tempo per la riflessione e la meditazione; ma se nel nostro entournage qualcuno è raggiunto dalla malattia allora tutto cambia e la fede appare una risorsa su cui fare affidamento ed aggrapparsi. Certo le situazioni mutano da individuo a individuo, dai familiari, dalle cure a cui si accede in ospedale. Immutata per tutti però è la speranza della guarigione, che consuma giorni e notti nell’ansia, nell’attesa di ricevere con premura risposte positive, oppure nella disperazione per la china scivolosa intrapresa in alcune fasi della malattia.

(I Ep. Pietro 1:7) Affinché la vostra fede, che viene messa alla  prova, che è ben più preziosa dell’oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo. E’ vero, la prova in quanto collegata a un esito sconosciuto richiama la fede come risorsa su cui contare, anche se di difficile attuazione per le incertezze inculcate nel cuore, i condizionamenti delle circostanze, per i momenti vissuti come i miglioramenti positivi del malato o le deprimenti ore per i peggioramenti registrati. In queste situazioni la fede è provata con il fuoco, chi la esercita deve far suo un verso della Parola in cui Dio parla della Sua soluzione e confidare in essa. (Ep Giacomo 4:6) Anzi Egli ci accorda una grazia maggiore, perciò la Scrittura dice: Dio resiste ai superbi e da grazia agli umili. Dall’orizzonte della prova non deve mai disperdersi la visione della Grazia di Dio a cui bisogna appellarsi, noi umili permeati di fiducia, invocando l’intensità del suo amore e quello di Gesù per i suoi.

La nostra fragilità risaputa

Lo sappiamo molto bene come siamo friabili ad ogni scossone, e gli apostoli in quel frangente raccontato, sottolineavano il momento in cui interrogavano la coscienza di un Gesù sonnacchioso, attendevano una risposta rassicurante e a loro favorevole, risolutiva, ancora tranquillizzante. Le condizioni riassunte nel racconto non erano delle più distensive, la barca traballava impetuosamente per la bufera di vento e per le onde che riempivano d’acqua l’imbarcazione. Forse qualcuno avanzava anche la critica del motivo di aver intrapreso un nuovo viaggio pericoloso, verso l’altra riva, quando l’esperienza accumulata da quei pescatori lo sconsigliava. In fin dei conti  perché non starsene tranquillamente fermi a terra? Era una soluzione sensata.

Gesù era reduce da un discorso sul seme di senape; in altra occasione aveva detto: ( Ev. Matteo 17:20) A  causa della vostra poca fede; perché in verità vi dico: se aveste fede quanto un granello di senape potrete diredunque nella prova occorre fede grande come un granello di senape. Non lo abbiamo! o perlomeno latita, siamo però  invitati a esercitare con fiducia ciò che possediamo,  deponendolo ai piedi del nostro Salvatore. La tempesta al volere di Gesù si acquetava, gli elementi creati, mare e vento si ritraevano nella calma, questo proclamava la potenza del Signore Gesù in ogni episodio. Allora se gli elementi naturali sono soggetti a Gesù perché non appellarsi alla sua Grazia? Certamente se siamo utili alla sua causa ci conforterà nella salute ristorandoci, se no ci accoglierà nella sua gloria a far da corona come risultato della sua grazia salvifica.

Giungere all’altra riva

 Giungere all’altra riva  vuol dire trapassare a miglior vita con Cristo Gesù, nel senso di lasciare questo deserto ed essere nel cielo.  Vuol dire ancora, passare all’altra riva dopo aver ascoltato l’Evangelo, cioè nella terra dei viventi e di quelli che, come l’indemoniato del successivo capitolo cinque, era rinsavito e ai piedi di Gesù, una compagnia appagante. Si, è vero, per quelli della fede minore del granello di senape, non per emulazione ma per realtà, è pronta una nuova vita fatta di Grazia e di fiducia nel Redentore. La lode, l’onore e la gloria per Gesù sono  nuovi argomenti con cui relazionarsi non solo nel cielo ma anche in terra perché consoni all’adorazione.

L’altra riva in terra prospetta un nuovo percorso con Gesù per raggiungere nuovi traguardi dopo la prova di fede, o per un cammino di comunione particolare con Lui, gustando nella via e nell’accompagnamento le sue benedizioni e la sua protezione. Sopratutto se non siamo ancora credenti nel suo immenso amore, abbiamo la possibilità di accostarci a Lui con fede e abbandono, ricevendo in contraccambio la vita eterna, superando appunto le nostre resistenze interiori (Ev. Giovanni 5:40) Eppure non volete venire a me per avere la vita. Così non sia! Oltrepassando ogni indugio, possiamo appropriarci del Suo messaggio di vita: (Ev. Giovanni 5:24) In verità in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio ma è passato dalla morte  alla vita. Si, la fede serve proprio a questo: a ereditare la vita credendo in Gesù ed a essere assicurati per l’eternità, per trascorrere appunto l’eternità con il Redentore.

La domanda capovolta: non ti importa che sono morto?

Orbene, cosa risponderemmo se Gesù ci rivolgesse questa impellente domanda, cosa replicheremmo? Potremmo rispondere di vantare buoni propositi e una benefica disposizione verso gli altri derivanti dal Suo esempio. Potremmo dire che siamo allibiti per le sofferenze inflitte al suo corpo e per l’ingiustizia palese con cui è stato sottoposto al processo; potremmo dichiarare la nostra ammirazione per i miracoli di soccorso e di solidarietà compiuti nel suo percorso terreno, ancora potremmo accennare all’esempio di pietà che ha avuto per gli ultimi, visto anche, come la nostra società lo ricorda in ogni luogo pubblico con un crocifisso ligneo o di terra cotta. In realtà queste risposte replicano alla vera essenza della domanda o sono piuttosto i pareri correnti sulla  vita e la morte di Gesù? A questo riguardo la Scrittura cosa ci ricorda? (I Ep. Timoteo 3:16) Senza dubbio grande è il mistero della pietà; Colui che è stato manifestato in carne è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato tra le nazioni; è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria.

 Dunque questa è l’opera di Gesù riassunta in un versetto; ma la mia personale  risposta di fede, deve poggiare sul valore della sua morte, se consapevolmente ho relazione con Lui e non una semplice conoscenza superficiale del divino personaggio. Giovanni ricorda: (Ev. Giovanni 1:12-13) Ma a tutti quelli che lo hanno ricevuto Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio a quelli cioè, che credono nel suo nome. I quali non sono nati da sangue, ne di volontà di carne, ne di volontà d’uomo, ma sono nati da Dio. Orbene se mi ritrovo consenziente in queste parole vuol dire che conosco con certezza perché Gesù è morto, cioè per me. Se così non fosse posso pregare in questo modo: (Ev. Marco 9:24) esclamò: Io credo, ma vieni in aiuto alla mia incredulità. Così possiamo rispondere a Gesù; è ciò che auspichiamo per tutti i nostri lettori che si ritrovino nella vera fede  nel Redentore. Vi saluto caramente. A risentirci Dio volendo, alla prossima settimana.

Ferruccio Iebole

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