ANTONIO BANFO E SALVATORE MELIS

CHINARE IL CAPO SUL LIBRO DEL SIGNORE 

Il nostro cammino con Cristo e la nostra testimonianza dell’Evangelo saranno sicuramente incoraggiati dal ricordo di Antonio Banfo, membro dell’assemblea di Torino via Scarlatti e dipendente Fiat, trucidato dai fascisti in Corso Novara insieme al genero Salvatore Melis.

Un ricordo ravvivato
Molto tempo fa, sfogliando vecchi numeri de “Il Cristiano”, mi ero imbattuto in un necrologio di due fratelli morti (“Il Cristiano” n.5/6 del 1945). Mi aveva colpito lo scarno commento, quasi la paura palpabile a raccontare il fatto di questa incresciosa e tragica morte. Era evidente che il tempo del fascismo, anche se passato, incideva ancora e, se una nuova libertà era arrivata, il fatto di non descrivere l’episodio era significativo e comprensibile. L’allora direttore de “Il Cristiano”, il fratello Maurizio Demaria, era consapevole che nel ventennio il giornale era stato sospeso e relegato al massimo di quattro pagine. Ho serbato sempre questo ricordo (non so perché), che si ravvivò qualche anno fa in occasione della Mostra della Bibbia a Torino; fermandomi ad un semaforo lessi “Corso Novara” e scorsi una lapide inconfondibile per via di fiori rossi in tessuto, era la lapide che ricordava la morte di due partigiani evangelici, Antonio Banfo e suo genero Salvatore Melis.

Dalla conversione al servizio
Il fratello Antonio Banfo era nato a Torino il 22 febbraio1900 e si era sposato con Emilia Revelchione. Era un operaio della Fiat, padre di sei figli, Angiolina, Francesca, Claudia, Lidia, Errico, Davide.
Attivista comunista era stato condannato alla prigione dal tribunale speciale nel 1932. Fu avvicinato all’Evangelo da un trattato distribuito da credenti dell’assemblea di Via Scarlatti a Torino. Il riscatto spirituale che conobbe fu traumatico: un autentico passaggio “dalla morte alla vita”, come dice l’Evangelo di Giovanni (5:24).
In poco tempo la sua vita fu trasformata; l’obiettivo per cui lottava fu spostato: ora la cosa più importante era testimoniare della nuova nascita, dell’Evangelo, della libertà in Cristo che gli uomini non potevano togliere o dare, e parlare della nuova fratellanza basata “sul pari consentimento” che il partito non gli aveva potuto comunicare.
Come molti autodidatti semplici, ma fermi nella sana dottrina, cercò il costante approfondimento scritturale e, dopo il battesimo avvenuto “nel settembre 1936”, esercitò il dono che il Signore gli aveva assegnato, come raccontato nella parabola dei talenti. Questi “talenti” lo rendevano molto attivo, come si evince dalle testimonianze pubblicate in quegli anni sulle pagine de “Il Cristiano”.
Il suo ministerio era particolarmente apprezzato nell’assemblea di Via Scarlatti a Torino e dintorni.
Uno scritto eloquente

Una emblematica lettera del 1944 del fratello Banfo ad un detenuto, suo compagno, ci è giunta come eredità. In questo scritto egli rivela completamente la sua personalità permeata dalla potenza dell’Evangelo, gli ideali più nobili, quali l’amicizia, la solidarietà, la comprensione, l’incoraggiamento mai disgiunti dalla testimonianza biblica, dalla ferrea fede nella divina Parola e nelle promesse del Signore Gesù.

La lettera recita:

Torino 13.05.1944
 
Mio carissimo Vittorio,
 (Vittorio Ferraris)
giunto ieri dal mio viaggio settimanale nella Lombardia ove sempre mi reco per ragioni del mio lavoro, ieri sera mi trovai a passare davanti a casa tua e alzando il capo vidi al balcone la tua cara Tina (la moglie) con Rita (la figlia) e i tuoi suoceri, mi invitarono a salire e così mi misero al corrente della tua disavventura.
Caro Vittorio,
tu non puoi immaginare quanto partecipo al tuo dolore e a quello dei tuoi e come vorrei avere quelle parole adatte per portare quel conforto di cui ha di bisogno il vostro cuore in questo momento. Riconoscendo perciò che non è nella possibilità dell’uomo di recare quel conforto necessario in simili frangenti, dall’istante stesso che ho saputo questa cosa la mia invocazione è salita al Signore e del continuo caro Vittorio la mia preghiera sale a Dio per te. Credi che lo prego come se fosse per me stesso e sono certo, caro Vittorio, che come già dissi alla tua cara Tina, sono certo che molto presto il Signore metterà in luce la tua innocenza e tu potrai tornare libero in seno ai tuoi cari e al tuo lavoro. Non essere scettico, mio Vittorio, credi solamente e tu vedrai ciò che fa la fede. Certo che tutto ciò che si raccoglie oggi su questa misera terra non è altro che il frutto che raccoglie in generale questa umanità incredula e lontana da Dio. Il Signore ha detto agli uomini di amarsi perché questo è il piano di Dio che è amore, ma l’uomo ha dato ascolto più volentieri all’insinuante voce del maligno e così fu fin dal principio con Caino, ed oggi l’uomo è posseduto dallo stesso spirito: UCCIDERE.

Quanto è doloroso assistere a tanti orrori in mezzo ad un mondo che pretende di essere civile e quegli strumenti che l’intelligenza dell’uomo stesso aveva saputo creare per avvicinare i popoli, sono stati invece adoperati per scavare una voragine che li divide ripiena di odio: quale orrore! Come ha bisogno questa povera umanità di conoscere la parola del Vangelo, di conoscere Cristo e ciò che Lui fece per la salvezza dei poveri peccatori. Poiché il Creatore, il Sommo Iddio ha dimostrato per mezzo dell’opera da Gesù Cristo in su la croce, tutto il Suo sconfinato amore per noi peccatori e questo è dimostrato con chiarezza dalla Parola Santa del Vangelo di San Giovanni capitolo 3/16 che dice che: «Iddio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo unigenito figliuolo affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia Vita Eterna».
Se ti è possibile, caro Vittorio, leggi il Vangelo e non vergognarti di chinare il tuo capo sul Santo Libro del nostro Signore poiché solo lì troverai quel conforto che ti è necessario (Vangelo San Matteo capo 11/28). Tralascio pregandoti di gradire il sincero saluto da tutta la mia famiglia e un santo bacio da parte mia e credimi tuo affezionatissimo

Antonio Banfi, Via Scarlatti 4bis, Città.
Un uomo aperto e schietto
“Non mi vergogno del Vangelo, perché esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”(Ro 1:16).
Un aspetto da sottolineare ancora di Banfo fu la franchezza: tutti sapevano della sua conversione, la Bibbia era la caratteristica della sua vita, (l’aveva sempre in tasca, che insegnamento!), le relazioni anche con i massimi capi della Fiat erano nella chiarezza, nel rispetto della parola data, per tutti c’era un aiuto sicuro; si contano almeno in duemila, le persone sbandate o renitenti alla leva, salvate dalla sicura deportazione e impiegate in Fiat tramite il fratello Banfo e il professor Valletta.
Nell’aiuto al prossimo c’è un episodio che va ricordato. Sovente operai della Fiat-“Grandi motori”, dove Banfo lavorava, erano accusati di connivenza con i partigiani e giudicati dal Tribunale speciale. Banfo accompagnato dall’avvocato Dal Fiume chiese la liberazione di quattro detenuti adducendo parole e concetti biblici sul perdono e sulla clemenza, alla fine il pianto e la commozione presero il sopravvento sui giudici e imputati, che poi furono liberati.

Un cammino di servizio tragicamente interrotto
Purtroppo il 1945 con il suo carico di odio e morte era alle soglie: il 18 Aprile ormai al traguardo della liberazione fu un giorno tragico per il nostro Banfo e il suo amato genero Melis Salvatore, marito della figlia Angiolina.
La mattina c’era stato uno sciopero generale, gli operai incrociarono le braccia; arrivarono i fascisti circondarono lo stabilimento e chiesero con asprezza la ragione di un simile comportamento. Tutti zitti, solo Banfo si espose avanzando e con franchezza, per nulla spaventato dalla minacciosa presenza dei fascisti in armi, prese la parola come quando predicava: con pacatezza ma non intimorito, disse dell’orrore di scoprire al mattino compagni di lavoro trucidati e abbandonati per le strade, uccisi con l’accusa di essere partigiani mentre invece si recavano al lavoro, parlò chiedendo la fine delle rappresaglie sugli inermi e la fine della guerra. Gli si avvicinò il comandante fascista che stringendogli la mano, ambiguamente gli disse che lui non avrebbe più visto morti, a patto però che lo sciopero finisse.
Quella frase ambigua poteva significare la fine delle rappresaglie, ma anche la più probabile fine di Banfo.
Alla sera, dopo il turno di lavoro, il fratello Banfo scese a passeggio nella via con il figlio più piccolo, Davide di tre anni, in compagnia del genero Salvatore e del nipotino Giovanni di due anni; tutto sembrava calmo:Dopo la passeggiata si erano ritirati in casa. All’improvviso l’irruzione dei fascisti! Banfo cercò scampo da una porta secondaria, il genero Melis incurante della sua vita lo seguì sapendo il pericolo che incombeva, l’unica arma che Banfo raccolse fu la sua inseparabile Bibbia.
Poi la tragedia. Ci furono l’arresto, le percosse e l’assassinio: infatti, a pochi metri di distanza dalla casa di Via Scarlatti, i nostri fratelli in Corso Novara furono falciati dal crepitio dei mitra.
Nell’abitazione di Banfo piombò il dolore, l’angoscia, lo smarrimento, i figli tramutati in orfani, le spose in vedove.
La prospettiva dell’insicurezza in tempi e situazioni così difficili si fece pressante.

Dio ha detto: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Eb 13:5)
Il Signore è fedele anche nelle tragedie partorite dalla cattiveria umana; il futuro presidente della Fiat, professor Valletta si preoccupò dal punto di vista finanziario aiutando la famiglia.
La testimonianza continuò con quella Bibbia crivellata dai proiettili ed esposta in una bacheca nella più grande fabbrica italiana.
La fede di Banfo e di Melis fu onorata da una parte della famiglia.
Certo il vessillo della fede da portare avanti è un impegno difficile, alla base c’è la conversione a Dio, c’è la Parola che deve penetrare il cuore incredulo, come testimoniava il fratello Banfo: “Il Signore mi ha aperto il cuore”.
 Questo cuore è sovente pieno di tante cose, anche nobili, ma mondane, mentre Gesù lo vuole riempire di gioia ineffabile e gloriosa e di franchezza per non vergognarsi dell’Evangelo, nel mondo che va alla deriva.

Un’ultima considerazione
 Le tre storie raccontate (quella di Elia Sola su “Il Cristiano” n.9/2003 pagg.438-443; quella diFrancesco Pontino su “Il Cristiano” n. 3/2004 pagg. 124-129 e questa di Antonio Banfo) sono tutte finite con morti cruente, ma ci dicono che, nonostante tutto, la grazia del Signore non si è allontanata dai famigliari pur così duramente provati.

Le loro storie contengono anzi un invito a non disperdere quelle eredità, ma a proseguire il cammino fino al meraviglioso incontro con Gesù, che sta per tornare.
 È prezioso sapere come è scritto nell’Evangelo di Giovanni (1:36), che Gesù passa davanti a noi, anzi letteralmente ci taglia la strada e ci chiede “Che cercate?”.
Cosa cerchiamo nella vita terrena?
L’unica risposta che dobbiamo dare è “Rabbi = Maestro”!

“Insegnaci a contare i nostri giorni” (Sl 90:12).

Ferruccio Iebole
(Assemblea di Finale Ligure, SV)