L’INSEGNAMENTO PAOLINO PER UN CULTO SOLENNE

Per rendere al Signore un culto solenne, occorre leggere nella Bibbia le direttive di Paolo, registrate nell’Epistola di I Corinzi, dove l’apostolo affronta la questione per indirizzare i credenti a compiere la volontà divina conformemente al dettato rivelato, senza essere in balia di incertezze e adempiere gli atti di adorazione nella maniera giusta secondo la Parola, avendo chiari i concetti voluti dal Signore per un servizio gradito.

La solennità del culto secondo l’Evangelo

Per l’apostolo Paolo il suo grande cruccio o desiderio era di corrispondere tutto il pensiero di Dio, cui era divenuto per Grazia possessore e banditore. Anche in questa epistola si effigiava di essere apostolo disponendo di quei requisiti simili agli altri seguaci (I Ep. Corinzi 9:1-2) il sigillo del mio apostolato siete voi nel Signore. Indubbiamente la sua autorevolezza nella Scrittura derivava dall’apparizione del Signore Gesù, e dalla predicazione dell’Evangelo (I Ep. Corinzi 9:18). Questa che annunziando il Vangelo io offra il Vangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che il Vangelo mi dà. Paolo non fa risalire alla presunta autorità umana di (Atti 1:17) Perché era uno di noi o (Atti 1:21) sono stati in nostra compagnia, ma  al dono dell’apostolato datogli da Gesù stesso, coltivato con preghiera e comunione con Lo Spirito Santo, per redigere i consigli evangelici di come si adora il Signore. L’appello paolino urgente è indirizzato a non ignorare le antiche Scritture. (I Ep. Corinzi 10:1) Non voglio infatti che ignorate fratelli che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola. Poi invita i credenti a non diventare idolatri (I Ep. Corinzi 10:7) e perché non diventiate idolatri come alcuni di loro e (v. 14) perciò miei cari, fuggite l’idolatria. Pare sconcertante che l’apostolo mentre parla di adorare Dio, induca il discorso sugli idoli e veda un pericolo costante per gli individui rinnovati dal sacrificio di Gesù e guidati dallo Spirito Santo. E’ vero; sulla coerenza dei credenti occorre essere molto cauti, bisogna sottolineare la fragilità dei sentimenti degli uomini anche se animati da nobili principi. Paolo allora ammonisce i suoi lettori, partendo da molto lontano e afferma (I Ep. Corinzi 10:6) Or queste cose avvennero per servire da esempio a noi e (V.11) <Ora queste cose avvennero loro per servire da esempio>. L’esempio è chiaro: per adorare il Signore nella nuova dispensazione, si inizia con la riflessione della storia di Israele; domanda: non si poteva forse dettare nuove regole? No, occorre porre mente sulla vecchia dispensazione per capire il valore della nuova posizione e dell’adorazione del Signore nel modo a Lui gradito. Se l’adoratore del vecchio patto anelava (Salmo 84:10) Un giorno nei tuoi cortili val più che mille altrove. Io preferirei stare sulla soglia della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi; ora il fedele può entrare in Cristo nel santuario, nella presenza di Dio e per lo Spirito Santo offrire la sua libera offerta perché coperto dal sangue del Nuovo  Patto. Dunque Paolo, eccolo impegnato a spiegare la vera comunione occorrente per adorare il Signore, come bisognava atteggiarsi e da quali esempi trarre forza e convinzione di essere nel giusto e nel benaccetto. Necessita avere idee chiare su come si adora Dio e essere accertati che l’adorazione penetri nell’alto dei cieli, dove Gesù risiede e riceve il culto attraverso le sue mani forate.

Un congruo esempio che deriva dal deserto

Dal pellegrinaggio nel deserto Paolo traeva alcune cose negative osservando il popolo:

  1. Trascinati dietro agli idoli
  2. Bramosi di cose cattive
  3. Non diventate idolatri
  4. Non fornichiamo come alcuni
  5. Non tentiamo il Signore
  6. Non mormorate come alcuni di loro

Poi proseguiva nei giudizi attirati da questi atteggiamenti:

  1. Dio non si compiacque
  2. Furono abbattuti nel deserto
  3. Caddero in un sol giorno ventitremila
  4. Perirono morsi dai serpenti
  5. Colpiti dal Distruttore
  6. Colti da tentazione

Infine elencava le benedizioni cui il popolo d’Israele era stato soggetto:

  1. Furono sotto la nuvola
  2. Passarono attraverso il mare
  3. Furono battezzati nella nuvola e nel mare
  4. Per essere di Mosè mangiarono lo stesso cibo spirituale
  5. Bevvero la stessa bevanda spirituale
  6. E questa roccia che li seguiva era Cristo

Analizzando il testo comprendiamo che < adorare in Spirito e verità come Dio desidera che i veri adoratori adorino> e per esprimere comunione, si affonda in radici pratiche di azioni comuni. Sembra strano: un culto spirituale trae forza da atti e gesti normali. Per questo Paolo associa la parola spirituale alla roccia, al cibo e alla bevanda; ma per esprimere ancora compiutamente la vera comunione e ammonire a non divenire idolatri, porta il pensiero ad un atto terra-terra. Sottolinea (I Ep. Corinzi 10:8) non fornichiamo; cosa c’entra questo gesto con la comunione? Noi sappiamo che l’atto in discussione è benedetto nel matrimonio da Dio e non solo a fini creativi, ma anche di godimento per i coniugi; allora viene la domanda: se è benedetto e quegli atti erano compiuti da marito e moglie, perché quel giorno ne caddero ventitremila? La risposta è semplice: nel popolo si era insinuata l’idolatria, cioè non tenere in conto che il mangiare e il bere era classificato dal Signore un gesto spirituale, come giustamente Paolo rilevava, e la fornicazione era fatta in sfregio e dettata dal disprezzo della Roccia, presente e che seguiva. Perciò anche nel culto cristiano si mangia e si beve con valore spirituale, e v’è la presenza della vera Roccia, cioè Gesù Cristo. In questo convivio di credenti riuniti si manifesta la presenza divina, la sua protezione per annientare la tentazione a compiere atti fuori norma, compiuti con leggerezza, senza conoscere il valore della posizione di re e sacerdoti, senza apprezzare la fedeltà divina (v. 13) Dio è fedele. Pertanto occorre tenere a mente l’esempio rimarcato da Paolo, di quelle cose successe nel deserto, per non essere dei superficiali e muoversi nella casa spirituale del Signore, senza sapere la mia posizione in base ai doni ricevuti, senza conoscere ciò che posso svolgere e i suoi dichiarati limiti. Effettivamente siamo tutti salvati allo stesso modo, senza distinzione di sesso, di nazione o di classe; è vero, ma nei ruoli per celebrare il culto cristiano onde evitare idolatrie, vi sono differenze precise. 

Fuggire l’idolatria

Come accennato, l’idolatria avviene quando la comunione è infiltrata < da cose cattive>, quando non v’è il compiacimento divino, o latita l’approvazione  scritturale e si erge suprema quella interpretativa, da parte degli uomini.  Per questo motivo Paolo ritorna ancora sul pane, sul vino, sul corpo di Cristo cioè la Roccia, beninteso il suo corpo del sacrificio; non quello del risultato glorioso dell’espiazione cioè la chiesa. Si, se siamo sacerdoti che esprimono una comunione vivente con il Salvatore, guardiamo con la massima attenzione al dettato scritturale, per non cadere (v. 19) in <carne sacrificata agli idoli>. Quindi, non possiamo bere il calice del Signore, partecipare alla mensa cristiana e avere comunione con i demoni, perché diventati idolatri.  E’ vero, gli idolatri, cioè quelli che si attengono alla carne, al pensiero umano, che contrastano ciò che è scritto nella Bibbia, sono in comunione con i demoni. Sovente incontriamo persone che adorano o si inginocchiano davanti a statue, che pregano uomini o spiriti di uomini defunti per ricevere grazie o che pur leggendo la Bibbia, non rilevano quelle posizioni sbagliate. Sono forme sottili di idolatria, come ogni tentativo di sminuire il valore del pane e del calice anche nella forma con altri recipienti, da parte di credenti non ben ferrati nella Parola, (lo diciamo senza giudizio pretestuoso), incorrono in pericolo di idolatria. (I Ep. Corinzi 10:22) O vogliamo forse provocare il Signore a gelosia? Siamo noi più forti di Lui? Occorre perciò verificare sia la nostra comunione che la nostra posizione, sapendo (v. 2) < di voler conservare le mie istruzioni come ve le ho trasmesse>. A questo riguardo, Paolo scrive lo scopo della Chiesa, ossia del corpo spirituale del Signore, che è quello di celebrare solennemente il ricordo della morte e attendere il ritorno di Gesù: (I Ep. Corinzi 11:26) Perché ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga. Paolo arriva al dunque e prescrive le istruzioni perché il culto abbia posizioni distinte e certe, (v. 19) vi siano le persone fedeli approvate e riconosciute, non siano preda di demoni, (v. 22) non si verifichi disprezzo per la chiesa, o discredito per i simboli e per la comunione. Si perché, come avveniva nel culto del deserto, anche nel culto cristiano si hanno predisposizioni e relazioni con il mangiare e il bere e gioire nello spirito, tramite lo Spirito di Cristo. La gioia celeste non è quella effimera, carnale, provocata da esaltazione o da eccessi, guidata da eccitamento entusiasta, è cosa completamente diversa perché proveniente dalla vera fonte di letizia e di beatitudine: lo Spirito Santo.

Le distinte posizioni dell’uomo, della donna e degli angeli

L’assemblea cristiana riunita solennemente per ricordare la morte del Signore Gesù e il suo ritorno, compie l’atto più rappresentativo, dove esprime la sua fedeltà all’alto privilegio di essere classificati re e sacerdoti, cioè un popolo separato, santo, riscattato dal sangue di Gesù. Sono adatti a celebrare il culto, cioè a rompere il pane e bere il calice perché già credenti, che possiedono la comunione personale con il Salvatore, interrogandosi se sono nella Verità, possono manifestare pubblicamente di essere stati perdonati da Gesù, perché hanno creduto nel suo sacrificio alla croce. Rivestono oltre ai  requisiti di relazione e di comunione anche quelli di posizione, quelli insegnati da Paolo <siate miei imitatori>, cioè imitatori nell’obbedienza alla Parola, perché le posizioni tra uomini e donne sono diverse, ma necessita per comprenderle, essere appunto imitatori dell’apostolo. Paolo definisce, per esempio, alcune posizioni (I Ep. Corinzi 11:4) Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto fa disonore al suo capo. (I Ep. Corinzi 11:6-10) Ma se per una donna è cosa vergognosa  farsi tagliare i capelli o radere il capo si metta un velo …Perciò la donna deve a causa degli angeli, avere sul suo capo un segno di autorità. E’ significativo che gli uomini anelino all’autorità, ma sovente rifiutino questa su di loro, non portando adeguatamente dei segni evidenti, comandati dalla Parola. Bisogna sottomettersi secondo il chiaro volere espresso dal Signore, dalla Scrittura, e non dall’uomo. Paolo concludeva (v. 16) Se a qualcuno piace essere litigioso, noi non abbiamo tale abitudine e neppure le chiese di Dio. Se è pur vero che tutti siamo sacerdoti, non tutti abbiamo le stesse funzioni. Banalizzando: non tutti avendo una patente o  conoscendo i cartelli stradali sono autorizzati a condurre alcuni mezzi, per esempio i pesanti, pur essendo e restando tutti autisti. Allo stesso modo, Paolo affronterà il  punto delle funzioni diverse tra uomo e donna, per celebrare il culto: chiaramente nel capitolo quattordicesimo di I Corinzi. Ma tornando alla comunione, vivendo ora (I Ep. Corinzi 10:11) noi che ci troviamo nella fase conclusiva delle epoche, Paolo muove la considerazione intorno ai simboli: pane e vino, calice e mensa, corpo e sangue, sacrifici e altare, per (I Ep. Corinzi 11:31) Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio. Quale buon consiglio! Fare tutto per la gloria di Dio, vuol dire ubbidire alla Parola. Vuol dire ancora (v. 32) < non date motivo di scandalo>  nel comportamento, nel vestire, nella testimonianza, (v. 33) <cercando non l’utile mio ma quello di molti, perché siano salvati. Il pensiero della salvezza è quello finale, centrifuga per ruotare attorno al grande amore del Salvatore, ma glorificare Dio con senso è un servizio che viene dopo aver realizzato la salvezza.

Il valore dei simboli 

Non si può prescindere dalle affermazioni paoline (I Ep. Corinzi 10:14-15) di fuggire l’idolatria, attraverso le parole espresse a persone intelligenti, che osservano il calice e recepiscono che esso è il simbolo della benedizione, altresì che il simbolo del sangue di Cristo, contenuto nel calice, è quello che purifica l’anima e permette di poterlo bere perché perdonati. Lo stesso avviene per il pane che simboleggia con forma di alimento essenziale, la comunione visibile e nutriente per l’anima, che si avvale delle risorse del Salvatore morto e risuscitato, trionfante in cielo, alla destra di Dio, pronto ad intercedere per i suoi. Ma per quelli che fuggono dall’idolatria (v. 14) <Perciò miei cari fuggite l’idolatria>, prima occorre essere abbeverati dal calice della benedizione, per esprimere dopo la comunione con il sangue e con il corpo. In seguito, nella riunione solenne della chiesa,  prima romperò il pane simbolo di credente ubbidiente, nutrito della Parola, di Cristo il Salvatore,  poi berrò il calice simbolo di credente perdonato, che riconosce i suoi limiti ed errori compensati però dal sacrificio della croce e dal valore dell’offerta espiatoria perenne del sangue. Su questa base si può celebrare il culto, esaltando come Paolo insegna, il fatto della presenza della Roccia fra i credenti, della fruizione di guida del suo Spirito, di simboli evidenti e reali, di pensare al ricordo vivo di Gesù nei riuniti, dell’annuncio del ritorno del Signore come speranza, dell’esamina personale di essere nella fede, comune ai partecipanti all’adorazione. Sovente questo ordine viene cambiato o limitato dalla prepotenza o sapienza umana di essere protagonisti di un culto, dove l’umiltà e la sottomissione al Signore sono affievolite, e si cerca con surrogati umani, come i movimenti del corpo dondolante, con alzate di mani verso l’alto, di atteggiarsi a nuove forme di spiritualità e di subire una influenza gioiosa sconosciuta, alimentata da canti possibilmente ritmati e da scoppi di vociare imperiosi. Non sono i metodi o i modi, quelli che bisogna ricercare per lodare il Signore, ma se si gode di una beatitudine interiore, intensa e celeste, certamente le forme esteriori grossolane e rumorose, credo siano superflue. Nell’adorazione cristiana pare raccogliere nei consigli paolini, un equilibrio che gli stessi argomenti sopra ricordati e i simboli presenti, richiedano piuttosto l’intensa meditazione, un tempo di lode e di preghiera eseguito con fervore e zelo non rumoroso,  una comunione di spiriti attenti alla guida dello Spirito Santo, in un’atmosfera di vivo raccoglimento e di gioiosa beatitudine. Non è lo spirito di critica verso altri, che spinge a queste considerazioni, ma piuttosto il pensiero positivo di non assumere posizioni incoerenti o idolatre, che non siano ispirate dallo Spirito Santo.

L’ammonimento di Paolo  per esaminarsi

Paolo nel capitolo undicesimo, a proposito della comunione, invita i credenti uomini e donne a esaminarsi: (I Ep. Corinzi 11:28) ora ciascuno esamini se stesso; pensando a un’analisi riflessiva e di controllo della propria posizione, mentre si è disposti a vivere la riunione solennemente e ad adorare il Signore Gesù e il Padre. A questo riguardo, occorre esaminarsi: (II Ep. Corinzi 13:5) Esaminatevi per vedere se siete nella fede mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi?   Ecco il punto: l’esaminarsi per non essere nell’idolatria, ma rinnovati dal sacrificio di Gesù; per non essere giudicati (I Ep. Corinzi 11:31) ora se esaminassimo noi stessi non saremmo giudicati. Pare evidente che quando si adora e si partecipa alla rammemorazione dei simboli, lasciati dal Signore, collegato a essi vi è anche un giudizio, intimo e personale, esplicitato agli altri nell’accedere al pane e al calice. Nel compiere l’atto di ricordo, io proclamo la mia fede in Cristo, rivelo l’amore che mi ha salvato e il perdono dei miei peccati, annuncio il ritorno imminente di Gesù in gloria. Così facendo posso affermare che l’idolatria non è presente nella mia vita, ma la fede in Gesù e nella Bibbia è la mia parte.

Conclusione

 (I Ep. Corinzi 12:2) Voi sapete che quando eravate pagani eravate trascinati dietro agli idoli muti secondo come vi si conduceva. L’analisi del testo ci riferisce di un tempo passato, trascinato nell’idolatria, che conduceva in un senso apparente giusto e gratificante in tutte le sue forme. Forse non vi era consapevolezza o non vi era ancora, ma è senz’altro triste e avvilente essere condotti o trascinati in maniera inerte da idoli muti, che letteralmente non possono esprimersi, per cui ciò che si suppone ascoltare sono soli inganni o falsità con propria logica, però lontane mille miglia dalla Verità. (I Ep. Corinzi 12.3) Nessuno può dire: Gesù è il Signore! Se non per lo Spirito Santo.  La confessione di fede che Gesù è il Signore e Salvatore deve avvenire per un incontro personale con Gesù, che può accadere leggendo la Bibbia e fornisce una chiara rivelazione dell’opera Sua redentrice. L’incontro intimo con Gesù lo auguriamo vivamente a tutti i nostri lettori per iniziare con Lui il rapporto di fede salvifico e di comunione.

Ferruccio IEBOLE

 

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