DIVENNERO AMICI

L’amicizia è un buon sentimento che caratterizza la vita degli uomini, occorre sapere però su quali basi si fonda questa virtù, se riposa su fondamenti stabili o effimeri, e destinati a durare nel tempo o a svanire.

L’evangelista Luca nel racconto schietto dell’arresto di Gesù, si sofferma su particolari spicci, per comunicare il dramma del prigioniero sottoposto alle angherie e ai soprusi, che ogni essere catturato e imprigionato nei luoghi di reclusione deve sottostare. Ancor oggi le pratiche degli arresti risentono di quei drammi e di quelle umiliazioni.  L’arresto del Salvatore non eludeva la pratica; chi era dalla parte della violenza era ben contento di esercitarla in nome di qualche potere o ordine, non ben specificato, ma fatto valere da un gruppo nutrito di persone, accomunato dall’idea della prevaricazione. Lo spalleggiarsi a vicenda, un modo per tenersi assieme, era una amalgama per raggiungere un obiettivo immaginato e perseguito, la morte del Messia. Dice la Scrittura (Ev. Luca 22:63) Gli uomini che tenevano Gesù lo schernivano percotendolo, poi lo bendarono e gli domandavano: indovina profeta! Chi ti ha percosso? E dicevano molte altre cose contro di Lui, bestemmiando. Il quadro proposto dall’Evangelo è molto crudo. Si può tranquillamente immaginare l’aria sinistra circolata in quella notte, rischiarata da torce tremolanti che illuminavano a malapena gli edifici e le stanze dove il Redentore, ostaggio, subiva le più ignobili torture. L’ orrore era indescrivibile: come tutti gli indifesi arrestati, divenivano dei corpi su cui sfogare la bassezza umana, gli scherni erano parte del gioco, come le violente percosse comunicate da mani pesanti di combattenti e di rudi soldati. La tortura psicologica della benda sugl’occhi, unita alle botte senza costrutto, venivano inferte a Gesù, che doveva altresì assistere alle bestemmie pronunciate contro Lui e il Padre, e delle accuse gratuite senza senso, dettate solo dalla gelosia e dall’odio religioso, quello più velenoso. Questo  lungo martirio durava  tutta la notte, un tempo molto duro da trascorrere in piedi, senza acqua, con i primi forti bruciori dovuti alle tumefazioni e ai traumi o ematomi nel corpo. Non vi è dubbio di poter immaginare, quale fosse il senso di spossatezza e stanchezza,  dopo tante ore trascorse da Gesù, nell’insonnia e nelle violenze fisiche.

Un nuovo giorno

(Ev. Luca 22:66) Appena fu giorno, la notazione era importante voleva dire che certe situazioni si erano esaurite, delle nuove si sarebbero verificate nei luoghi mutati, cioè nel Sinedrio, posto deputato per l’interrogatorio e simbolo della giustizia umana e del presunto accertamento della verità. La casa del Sommo Sacerdote aveva concluso il suo triste ruolo, ora all’alba di un nuovo giorno, il Sinedrio con il suo fascino di luogo della discussione teologica più alta, avrebbe visto le risposte sperate. La domanda era solenne (Ev. Luca 22:67) Se tu sei il Cristo diccelo. Potevano essere più chiari di cosi i sacerdoti e gli anziani del popolo? Purtroppo la domanda non era sincera; della risposta non interessava a nessuno. Come succede in molte stanze della giustizia umana, si giudica con la sentenza colpevolista già scritta, il processo è una pura formalità, un’apparenza, dove i diritti di difendersi sono brutalmente calpestati o disattesi.  Il processo a Gesù non sfugge a questa regola. La seconda domanda che ricalcava la prima era (Ev. Luca 22:70) Sei tu, dunque il Figlio di Dio? Il Signore Gesù rispondeva con una citazione del noto  (Salmo 110:1) che lo identificava come Signore e con il rilievo evidente della risposta dei suoi interlocutori, che erano costretti, loro malgrado, a confessare Gesù Figlio di Dio.

Una  terza tappa la casa di Pilato

L’arduo percorso del Signore Gesù si svolgeva nel raggiungere la dimora del reggente romano Pilato. Il luogo doveva emanare sfarzo, incutere timore reverenziale in chi varcava la soglia, e temere l’ultima parola del supremo giudice. La parola romana era ineludibile e definitiva. Molto tempo da dedicare a dei sudditi noiosi e petulanti di sicuro Pilato non lo voleva riservare, in più la moglie lo aveva già avvisato di stare alla larga dall’evento e da Giusto, in cui era implicato appunto Gesù, per cui  cercava in tutti i modi di ritrarsi da questo inopportuno intoppo. L’assemblea dei maggiorenti ebrei accusava Gesù, portando prove fasulle e inconsistenti come aver udito una predicazione sovversiva. In realtà tutti sapevano che oltre alla testimonianza evangelica, il Salvatore aveva guarito moltissime persone, sfamato folle, risorto dei morti, ma tutto ciò era taciuto con spudoratezza. Gli accusatori si rendevano conto del bluff, allora rivolgevano calunnie, dicendo Gesù essere un istigatore per non pagare i tributi a Cesare. V’è da dire che questa accusa si è protratta fino ai giorni nostri, ed è un sofisma per denigrare intere categorie di persone senza prove. Chi viveva di tributi dei propri fratelli, come i sacerdoti, erano i più infervorati nell’accusa. Purtroppo la diffamazione non aveva presa su Pilato, che doveva conoscere con chi aveva il confronto. L’ultima accusa riguardava la presunzione che Gesù fosse re. Questa allusione doveva per forza incuriosire Pilato, poteva esistere un altro con quelle referenze? Pilato poteva forse passare sopra una affermazione politica così grave? L’interrogatorio sostenuto da Pilato su questo tema era infruttuoso. La risposta di Gesù era vera, ma non lo interessava a priori. Incurante di tutto, Il giudizio di assoluzione di Pilato per Gesù veniva pronunziato: (Ev. Luca 23:4) Non trovo nessuna colpa in quest’uomo; il verdetto era proclamato. Parola definitiva di un romano? Piccolo diversivo, scattava la notizia che Gesù fosse Galileo, allora tutto cambiava: Gesù doveva andare ancora da Erode, per un ulteriore giudizio. Poteva forse scivolare tutto senza fare un piacere all’altra parte politica, quando si sapeva di un smodato desiderio da parte di Erode di vedere Gesù?

Il quarto luogo della storia, il palazzo di Erode

Gesù veniva trasferito presso Erode: la Scrittura aggiunge che l’influente personaggio ( Ev. Luca 23:8) Quando vide Gesù, Erode se ne rallegrò molto, perché da lungo tempo desiderava di vederlo, avendo sentito parlare di Lui, e sperava di vedergli fare qualche miracolo.  Questi quattro verbi sono molto importanti perché ritraggono nettamente i sentimenti insiti nel personaggio. Non occorre essere severi nel giudicare Erode, ma sotto gli occhi abbiamo esplicitata la superficialità con cui si affronta il tema, ancora attuale, “ Chi è Gesù per te”. Che Erode fosse un esteta era evidente, desiderava vederlo, attratto dall’ armoniosa avvenenza della persona. Poi il suo gusto per le novità culturali, certamente era sempre alla ricerca di sensazionali massime, di cui la sua corte era avara, ma ora potevano appagarlo specie se alla declamazione seguivano dei miracoli. Era una speranza che le recensioni ascoltate, potevano in quei momenti, arrivare al traguardo con un colpo di fortuna inaspettato, vedere cioè il Redentore, come un buffone qualunque di corte e poter a comando, esercitare i suoi artifizi. Purtroppo (Ev. Luca 23:9) Gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla, soggiunge la Bibbia. Perché un simile mutismo?  Perché  non vale (II Ep. Timoteo 4:2) Predica la Parola a tempo e fuor di tempo? A parte la spossatezza del corpo sottoposto a una prova lunga e difficile, il silenzio di Gesù lo si può intuire  a causa del disinteresse realizzato  da Erode quando si parlava di Lui. Oltre la curiosità spicciola, nulla si era verificato; ma al  momento giusto ecco rivelarsi il contenuto del cuore e dell’anima di Erode. Lo sfondo è la veemenza delle accuse, tra esse si insinua il vilipendio e lo scherno di Erode e dei suoi soldati.  La ipotetica relazione con Gesù si era vaporizzata in fretta, ora era il tempo delle derisioni e del manto splendido. Quello che molti attori di queste vicende non riuscivano a comprendere, era che volenti o nolenti, come in questo caso del manto regale, erano costretti da una forza superiore, a compiere dei gesti fuori della loro portata o ad azioni incontrollate. Il manto regale non era semplicemente un indumento prezioso regalato per la derisione, era un chiaro messaggio di chi fosse il vero re d’Israele, certamente perseguitato come Davide, ma Re dei re e Signore dei signori, erede del regno di Dio. E gli avversari dovevano renderne conto.

Una amicizia ritrovata sulle spalle di un inerme

Come sovente succede nella storia dell’umanità, sulla pelle di un martire si ritrova un’amicizia, compromessa nel passato. Sul corpo di Gesù si stabilisce una nuova unione, con il consenso di quasi tutti. Il finale verso la croce riserverà ancora molte sofferenze per Gesù, che come si sa, barcollerà nel portare la pesante croce, regalo finale degli uomini verso la meta del Golgota. Prima vi era stato l’ultimo assalto vociante dei maggiorenti, per avere il sopravvento sull’intenzione di Pilato di liberare Gesù. Il contrappeso era di liberare Barabba, reo in prigione, per aver ucciso e orchestrato una sommossa. Il senso di giustizia comune si arenava nelle parole (Ev. Luca 23:21) Crocifiggilo, Crocifiggilo! Un secondo desiderio di Pilato, dopo quello di Erode, cioè di liberare il Redentore, finiva come detto (Ev. Luca 23:23) E le loro grida finirono per avere il sopravvento. La sentenza dichiarata sull’amicizia ritrovata, era: liberaci Barabba. L’assassino Bar-Abba figlio del padre, prendeva il posto del vero Figlio del Padre, concludendo la spirale di odio e di scherni al Calvario. Il finale dice: (Ev. Luca 23:24 ) Ma abbandonò Gesù alla loro volontà. Alla fine aveva prevalso l’orchestra dell’ingiustizia e dell’orrore che troverà l’epilogo nella barbara crocifissione, pratica feroce sopportata da un’innocente.

Conclusione

Al luogo del Teschio rendeva lo spirito il Signore Gesù, proclamando un’altra amicizia per tutti quelli che crederanno in Lui (Ev Giovanni 15:15) ma vi ho chiamati amici perché vi ho  fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. Tra queste cose rivelate c’è l’amore del Padre, la salvezza del Figlio e la gioia dello Spirito Santo. Alleluia!

Ferruccio IEBOLE

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