CONTATO CON I MALFATTORI

La profezia di Isaia trova realizzazione negli iniziali momenti della passione dolorosa del Signore Gesù Cristo, nell’approssimarsi della Pasqua, simbolo dell’olocausto e sacrificio del corpo e del sangue del Divino Redentore. Entrare in profondità nell’esame nel testo di  Isaia 53:1 a chi è stato rivelato il braccio del Signore, vuol dire addentrarsi nella rivelazione divina con l’aiuto del Suo Spirito, perché senza quello siamo insensibili.

La preparazione alla passione

Ev. Luca 22: 37: “egli è stato contato con i malfattori”, la frase proposta rende l’idea di un conteggio effettuato a mano, con spinte pesanti o brutali, per dividere e allontanare i contati dal gruppo restante. Sull’identificazione dei conteggiati non v’è dubbio alcuno, sono malfattori; la realtà forse non è proprio così e ciò significa come le sentenze o le classificazioni degli uomini, sovente siano fallaci nella sostanza e affrettati nel giudizio. Le espressioni del profeta Isaia nel capitolo 53, tracciano un quadro impressionante nel relazionare con lucidità, l’armamentario delle sofferenze imposte all’Agnello. La descrizione dell’aspetto fisico rivelano le afflizioni, le umiliazioni e gli strazi provati, che giungono a deformare i lineamenti del viso e del corpo della Vittima innocente. Un altro aspetto sono le intuizioni profetiche dei tormenti profondi nell’anima dell’Olocausto, che intaccano sentimenti reconditi di un dialogo impercettibile a orecchie umane e svelano la costante padronanza dell’Oppresso negli eventi, che lo portano alla morte. Una luce imprevista alla mente umana, è quella che proietta uno spiraglio sull’aldilà, ben descritta da una Vita che si manifesterà nella gloria e che assocerà altri spiriti nel trionfo celeste.  La lucidità di Gesù Cristo come padrone degli eventi, è ben documentata dalle parole precedenti del verso accennato: Perché vi dico che in Me dev’essere adempiuto ciò che è scritto.  Con questa consapevolezza Gesù affronta le fasi successive, sapendo la dimensione che doveva assumere cioè quella scritta nell’Evangelo di Luca 22:27: “ma io sono in mezzo a voi come colui che serve”.

Una metodologia articolata 

Questa cognizione del Signore Gesù Cristo è comprensibile nel suo umile atteggiamento descritto nell’Evangelo di Luca 21:37: di giorno insegnava nel tempio, poi usciva e passava la notte sul monte detto degli ulivi.  Una preparazione consapevole per il cimento finale è messa in atto dal Salvatore. Egli  compone un ricerca costante della faccia del Padre nell’intensità della preghiera notturna, assieme a una sperimentazione nell’esercizio della misericordia e della pietà. Rimane altresì immerso nella nitidezza della profezia dettando i tempi degli eventi, vedendoli passare davanti a se; e sebbene per molti versi, saranno circostanze dolorosissime e paurose non disdegna consigli, soprattutto (Ev. di Luca 21:33) ricorda che le sue parole non passeranno, e (verso 36) Vegliate dunque pregando in ogni momento. Straordinariamente memorabile sarà il suo discorso sul monte del capitolo 21 dell’Ev. di Luca dal verso 5 al 37.

Il disegno satanico

 Nel campo avverso, un altro disegno prende corpo e forma, confinato nella limitata conoscenza del futuro da parte delle forze del male. L’avvio impensabile inizia con la circostanza descritta da  Giovanni, nel suo Vangelo (13:2) il Diavolo aveva già messo nel cuore di Giuda, ed Ev. Luca 22:3 Satana entrò in Giuda. Un evento simile a quello di Anania e Saffira, spiegato in Atti 5:3 Satana ha riempito il tuo cuore, vuol dire che si era aperto uno spiraglio sufficiente a inserire pensieri, fatti contrari e allontanare la presenza dello Spirito Santo. La lievitazione della volontà di Satana emerge nel modo (verso 4) di consegnarlo nelle loro mani. D’altronde è il metodo già sperimentato che sarà utilizzato verso il popolo a tempo debito, Ev. Luca 21:12: “vi metteranno le mani addosso e vi perseguiteranno”. Non v’è dubbio alcuno, la prigionia è il risultato più confacente all’odio del Diavolo contro le creature umane. Historia docet. Benchè l’accordo sia stipulato, occorrerà sapere il tempo o l’ora propizia che dipenderà non dal progetto satanico o dai piani di Giuda, ma dal permesso divino specificato nell’ Ev. Luca 22:53: “questa è l’ora vostra, questa è la potenza delle tenebre”. Poi sarà, anche come rammenta Ev. Giovanni 12:31, cacciato fuori il principe di questo mondo.

L’ultima Pasqua, la santa cena

Il tempo doveva essere quello contrassegnato, come dice l’Ev. di Luca 22:14 “quando giunse l’ora”,  non lasciato al caso, ma delineato precedentemente da alcune esperienze peculiari vissute dal gruppo dei dodici. Il primo, un incontro con un personaggio che porta con le mani una brocca o un vaso pieno d’acqua, figura di grazia. Il secondo, con il padrone di casa, figura di amore ospitante, che avrebbe indicato una sala acconcia, non dovuta al caso o all’alacrità degli uomini, ma  provveduta adatta alla celebrazione della Pasqua. Anche l’ubicazione è eloquente: al piano di sopra (verso 12), forse presumibilmente identificabile con l’alto solaio dei primi incontri collegiali e apostolici dopo la resurrezione. Non v’è dubbio alcuno che nell’ora della comunione e del vivo desiderio di Gesù, quei due personaggi che scompaiono, siano le figure dello Spirito Santo e del Padre. Purtroppo sullo sfondo di questo incontro, con preludio così connotato, piomba un ammonimento già annunciato alcune volte, ma  che adesso assume una valenza particolare, Ev. Luca 22:15, prima di soffrire, anche se accompagnato immediatamente dalla gioiosa promessa di ripeterlo nuovamente nel cielo. Gesù,  Ev. di Giov. 12:27, è già stato turbato ma la Voce grida (verso 28) “L’ho glorificato e Lo glorificherò di nuovo”, poneva momentaneo sollievo. L’E. di, Giovanni  13:3 riporta il sentimento di Gesù con le parole sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e Lui è consapevole  (Ep. Ebrei 1:10) “che le sue mani hanno fondato la terra e i cieli” e (verso 12) “che tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno mai fine”. Pertanto ora, in quella comunione così vissuta, dopo l’abbassamento e l’umiliazione di Gesù, nel lavamento dei piedi dei discepoli, raccontato con dovizia di particolari dall’evangelista Giovanni, il Divino Salvatore dopo aver fatto la benedizione, rompe il pane con le mani. Non taglia dei pezzetti di pane, ma lo spezza per significare di quale morte sarebbe stato oggetto e prende il calice (non dei bicchierini) e istituisce nel calice (Ev. Luca 22.20) “che racchiude il simbolo del sangue, il patto tra Dio e gli uomini”. Poi, accenna alla memoria di Lui,  all’invito di ripetere il gesto come sinonimo di essere in accordo con Lui e tra i credenti, e nel ricordo del Suo immenso amore, non con esercizio mentale ma di cuore.

Una doccia gelida

Qualcuno aveva ancora i piedi umidi, forse il partecipare inconsapevolmente all’ultima cena senza saperlo, portava a pensare alla cerimonia fatta in maniera diversa dal solito; oppure era occupato ancora nella riflessione di cosa volessero significare veramente quelle parole appena espresse. Ma irrompe ancora una frase di Gesù, svelatrice del comportamento di una mano, Ev. Luca 22:21: “la mano di colui che mi tradisce è con me a tavola”. Oppure, Ev. Matteo 26:23 “chi ha messo con me la mano nel piatto”. Questa affermazione sconvolge la mente dei dodici e siccome tutti si interrogano (verso 23), vuol dire che tutti erano potenzialmente adatti a tradire Gesù. Ciò è mortificante! Che contrasto tra le due mami, quelle del Signore Gesù intente a fare un patto eterno e a invocare benedizioni, altre aperte, pronte  a ricevere i denari pattuiti per la consegna di una vita innocente. Ancora una mano, indicatrice del tempo arrembante delle tenebre, intinge il boccone e lo offre a Giuda;  riporta l’Ev. di Giovanni 13:27 “dopo il boccone Satana entrò in lui e… quel che fai fallo presto”. Lapidario è (Ev. Giov. 13:30) “uscì, subito ed era notte”. Nessuna descrizione poteva essere più esatta di questa, nell’esporre il buio della scena e le tenebre avviluppanti.

L’ora dell’agonia ovvero della lotta

Evidentemente il Signore Gesù dopo l’uscita di Giuda ha ancora molte cose da svelare agli undici, e nell’intimità si spende a parlare del cielo, della Casa celeste, dello Spirito Santo, dell’autorità della Parola e della preghiera ecc. Nel frattempo, l’avversario continua la sua strategia di accerchiamento alla santa persona di Gesù, a cominciare dall’orto del Getzemani dove il Maestro si era recato. Precedentemente in un dialogo impercettibile a orecchi umani (Ev.Luca 22:31), Satana aveva chiesto di vagliare i discepoli, la parte più debole della compagnia per screditarli. Non aveva però tenuto conto o non sapeva della preghiera di Gesù. Interessante è l’azione del vaglio, si prende con due mani e si fa ballare il grano nel recipiente di vimini per allontanare la pula dai chicchi. Era quello che intendeva l’avversario: un evento ballerino condito da spaventi e incertezze per far perdere l’equilibrio ai discepoli. Gesù comunque vegliava e nessuno può rapire nessuno dalla Sua mano, e se, come propone l’Ev. di Giovanni 14:30 Satana viene, non può nulla contro Lui. Può solamente provocare l’invocazione del Figlio Divino, riportata nell’ Ev. di Luca 22:42” Padre se vuoi allontana da me questo calice”. Avvincente ed esplicativo è il fatto che Gesù utilizzi la figura dell’oggetto del patto, per equipararlo al cumulo di sofferenze, che dovrà sopportare. Il calice è un oggetto trasparente. Non è ne un vaso, né una coppa. E’ un contenitore limpido e cristallino adatto alla contemplazione e a racchiudere simbolicamente gli innumerevoli soprusi e sofferenze, sopportate da Colui che già perfetto, si è sottoposto (Ev. Luca 22:43) all’agonia, cioè alla lotta agonistica contro Satana, uscendone vincitore. Quei grumi di sangue sudati dalla fronte del Signore Gesù Cristo, significativi della lotta sostenuta, sono contenuti in quel calice e possono essere visti e ricordati nell’adorazione domenicale dell’assemblea. Una riflessione sui grumi è che quando si sudano in quella maniera, si è vicini alla morte, e il principe dei demoni aveva come obbiettivo il decesso senza spargimento di sangue. Il disegno era quello, un contrasto sottilissimo ma invalidante perché il corpo e il sangue della Vittima non espiasse i peccati del mondo. L’epistola agli Ebrei 9:22 rammenta che “senza spargimento di sangue non v’è remissione o perdono”. Ecco perché la lotta contro l’Unto era estenuante e Luca 22:43  ci accenna che un angelo apparve per rafforzarLo. Ininfluenti sono i comportamenti dei discepoli dormienti, nonostante gli avvisi di Gesù a pregare per non cadere in tentazione. Il sonno come incoscienza della gravità del momento e della realtà sfuggente, era l’elemento dimostrativo della fragilità umana, nonostante le buone intenzioni e i disponibili propositi di resistenza all’annebbiamento.

Un cammino doloroso

Il tradimento si effettua mentre Gesù parla ancora. La schiera degli avversari arrivano armati con emblematici bastoni, spade e torce, poi avviene il bacio: si, perché dopo la mente, il cuore e il pensiero, è il corpo l’ultimo a essere asservito alla volontà satanica. Il bacio figura di affetto, di unità d’intenti, di amicizia è tramutato nel simbolo perenne del tradimento. L’epilogo, nell’Ev. di Matteo 26:50, sono “le mani addosso e Lo presero”, preceduto da una domanda significativa  di Gesù a Giuda: amico che cosa sei venuto a fare? Risposta semplice: a dare quella spinta per conteggiare l’Agnello nel numero dei malfattori e a confermare l’ora della potenza delle tenebre. Tutti gli attori nell’orto fuggono, evidentemente le spade in mano ai soldati, dopo un primo momento di reazione, hanno avuto il sopravvento e infuso il giusto timore delle armi maneggiate da specialisti. Le tenebre avanzano: dodici legioni di angeli in abiti risplendenti cambierebbero la situazione, ma vi è un termine dichiarato invalicabile, Matteo 26:54  esprime come si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così avvenga? La vicenda dell’Arrestato è costellata dalle innumerevoli sofferenze. Iniziate nel sinedrio, proseguite nel pretorio, presso Ponzio Pilato (Ev. Marco 15:1) “lo misero in mano di Pilato” (Diodati), poi da Erode. Nuovamente da Pilato Ev. Matteo 27:29” gli misero una canna nella mano destra e verso il Golgota”. Dopo al Luogo del Teschio avviene la crocifissione. I curiosi saranno delusi dal racconto evangelico, la crocifissione non è argomento per riflessioni macabre o per insolite osservazioni. Già la corona di spine con quelle bacchettate sulla testa per lacerare il cuoio capelluto è un’immagine sufficiente a illustrare la via dolorosa. Il supplizio romano applicato al corpo di Gesù è commentato senza cronaca minuta e in modo stringato: la frase più ricorrente è “lo crocifissero”. Vi è ancora la testimonianza degli angeli, a conclusione dell’episodio della resurrezione, Ev Luca 25: 5-6 i quali accennano sinteticamente al Vivente, che non dimora tra i morti e (verso 7) “il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle mani degli uomini peccatori, essere crocifisso e il terzo giorno risuscitare”. Da dove apprendiamo che le mani del Salvatore furono forate? Dal racconto di resurrezione e vita, nell’episodio di Tommaso, (Ev Giov.20:25) “ se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi”. Altresì siamo edotti dal riassunto dei due discepoli di Emmaus, che incontrano il Risorto e nel ripetere il gesto dello spezzare il pane con le mani, Ev. Luca 24:35 è riconosciuto dai segni incancellabili posti nelle sue  palme. Ancora Gesù stesso durante un’apparizione in mezzo a degli sconvolti e increduli discepoli dirà, Ev Luca 24:39, guardate le mie mani.

Mani Benedicenti

Avviandoci alla conclusione e riportando il concetto scritto nella Parola, che il Signore Gesù (Ev. Luca 24:45) avrebbe sofferto, e sarebbe risorto dai morti e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati, resta l’evidenza di continuare a proclamare questa buona notizia della grazia in Cristo. L’ultimo verso che accenno è Luca 24: 50 “poi li condusse fuori a Betania e alzate le mani in alto”; visione meravigliosa quella di essere fuori dagli schemi oppressivi del mondo, dei condizionamenti mentali delle religioni degli uomini ed essere in compagnia con Gesù, la Via , la Verità e la Vita. Mancherà qualcosa, sarà una compagnia insipida, senza smalto e insignificante? No di certo! Il luogo scenico e accurato è Betania, terra di resurrezione di Lazzaro e di comunione conviviale del Cristo assieme alle due sorelle Marta e Maria. Perciò da quel emblematico luogo avviene l’estensione delle mani di Gesù in maniera benedicente, che durano ancora oggi verso chi crede e ha fede. Il verso 51..  “ed essi adoratolo”, ci invita ad aprire il cuore e la mente per dare gloria a Dio e a Gesù Cristo il Signore, e a ricevere luce nelle Sacre Scritture per intenderle.

Ferruccio IEBOLE

 

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