CHE MI MANCA ANCORA?

Una domanda, letta nell’Evangelo, che potrebbe essere applicata in tanti temi e fattori della vita, oppure  accostata all’argomento della fede, per interrogarci su quali basi poggia il nostro credere, e se esso affonda radici solide nella Bibbia cioè la Parola di Dio.

Il quesito del giovane ricco riportato nel racconto evangelico è di estrema attualità, per la consistenza e la profondità che comportano argomenti di carattere pratico e spirituale, cioè dell’essenza della vita. L’avvicinamento a Gesù (Ev. Matteo 19:16) del giovane, racconta di un rapporto a prima vista acerbo e incerto con il Signore Gesù. Sulla stessa linea di domande rivolte, Gesù incontrerà anche un dottore della Legge e un Capo del popolo; i confronti proporranno delle argomentazioni e dei ragionamenti intorno alla Legge, alla Grazia recata da Gesù, per confluire in una finale esortazione positiva che richiederà una scelta. Nel versetto 16 di questo capitolo vi è l’approccio con Gesù: <Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?> un’altra traduzione (la G. Diodati) dice <Maestro buono, che bene farò io per aver la vita eterna?>

Il Maestro buono

Non v’è dubbio che la traduzione del Diodati, effettivamente  sia molto più incisiva e  precisa di quella moderna, dove la bontà di Dio è sottolineata con enfasi. Infatti non si capisce perché i traduttori moderni modifichino i termini per snaturare i concetti. Quindi la vera domanda conseguente al pensiero del giovane era puntualizzata sul Maestro buono. La risposta di Gesù sulla qualificazione di “Buono” è quella di far ponderare in lucidità sull’aggettivo. Gesù voleva condurre la riflessione del giovane e farla approdare al riconoscimento, cioè se Lui riusciva a vedere in Colui che gli stava difronte, la bontà divina umanata tale da riceverla nella sua vita. Il risultato era solo questo: cogliere una volta sfatate tutte le nebbie religiose, togliere di mezzo i condizionamenti e le incrostazioni derivanti da secoli di storia e di interpretazioni, eliminare i modi fasulli d’intendere la vita eterna e accogliere la persona amata di Gesù. Non occorre meravigliarsi per la confusione di quel tempo, ancora attuale e presente oggi in moltissime persone, che ragionano per sentito dire, per analisi  o ricette di religiosi, fuori dalla logica evangelica, cioè di ciò che è scritto nell’Evangelo. Prima di tutto bisogna classificare il Maestro buono: (Ev. Giovanni 1:14) E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre. Questo discorso riguarda:

1) L’unione d’amore fra il Padre e il Figlio (la Parola).

2) Il Figlio che abita con noi.

 3) Cosa Lui ha portato agli uomini  dal cielo.

4) Che cosa comprendiamo noi di questo amore glorioso.

Dunque l’identità del Maestro Buono, si misura con un metro speciale, celeste, cioè la Gloria. La Gloria del Figlio non consiste in un unigenito creato, come qualcuno insinua, ma di un Unigenito amato; lo possiamo capire dalla Scrittura quando essa afferma (Ep. Ebrei 11:17) Per fede Abramo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco, Egli che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito. Evidentemente Abramo aveva altri figli, come ben sappiamo, ma l’unico amato cioè l’unigenito, era Isacco prototipo del Figlio offerto in sacrificio, come Gesù Cristo, con una specifica differenza: Gesù Agnello di Dio, offerto come pegno d’amore e Salvatore, tra il Padre e gli uomini, che ricevono per fede il beneficio del suo immenso Amore e della sua Grazia che conduce alla salvezza. Questa unione identitaria è spiegata nell’Evangelo di Giovanni:  (1:1) La Parola era Dio, (Ev. Giovanni 10:30) Io e il Padre siamo uno, (Ev. Giovanni 14:23) Gesù gli rispose: Se uno mi ama, osserverà la mia Parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui; queste affermazioni ci introducono a osservare con profitto, la comunione tra il Padre e il Figlio con un risultato evidente d’amore, verso l’uomo peccatore. Sulla base dell’amore esistente tra Dio il Padre e Dio il Figlio, possiamo capire il Maestro Buono che secondo la promessa sopra sottolineata, ci reca l’amore divino e la sua presenza mansueta.  L’evangelista Giovanni ci spiega chiaramente l’identità del Figlio, premettendo come Gesù venendo in terra con i suoi molteplici doni, ci abbia recato anche il supporto cognitivo, cioè l’intelligenza per capire, seppur minimamente, la Sua persona, i Suoi rapporti con Dio e la Sua opera redentrice. (I Ep. Giovanni 5:20) Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in Colui che è il Vero, cioè nel suo Figlio Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna. Questo versetto senza ombra di dubbio ci conferma che Gesù ci fornisce per la fede, intelligenza spirituale sufficiente per comprendere che Lui è il Vero, il  Vero Dio e altresì è la Vita Eterna, il quale con il Padre, vuole dimorare in noi.

Proseguendo nella seconda riflessione

Il Figlio abita con noi: è vero Gesù dopo la sua ascensione al cielo aveva promesso di ritornare e dimorare con il suo Spirito e quello del Padre, nei credenti della fede, perché appezzassero l’opera redentrice di Cristo e potessero, meditando, approfondire i valori di salvezza elargiti ( I Ep. Giovanni 2: 20-23) Quanto a voi avete ricevuto l’unzione dal Santo e tutti avete conoscenza…Chiunque nega il Figlio non ha neppure il Padre, chi riconosce pubblicamente il Figlio ha anche il Padre. Seguendo, occorre affermare che Gesù  dal cielo ci ha spiegato la Gloria, ci ha portato Grazia e Vita, ci ha donato Luce, Unzione, Fede, e soprattutto Amore coniugato con la Salvezza. Di queste grazie non potremo mai ringraziarlo a sufficienza perché siamo creature fragili, inadeguate e tarate dal peccato. Infine, come detto, bisogna  ricevere luce dal Signore, per abbeverarci alla fonte della Sua Parola e conseguire una sufficiente nozione sull’amore divino, che ci trascina nei meandri della salvezza e della relazione di fede con il Salvatore. Tutto questo in realtà, era quello che Gesù a contatto con il giovane ricco cercò di spiegargli, in un semplice atto, oltre al dialogo che sempre il Maestro Buono instaurava; ci viene riferito (Ev. Marco 10:21) E Gesù guardatolo, l’amò. Che atto meraviglioso e integrativo del colloquio  intrapreso dal giovane; con quale intensità Gesù lo avrà guardato? E quale potenza o fervore si sarà scatenato in quel gesto racchiuso in “l’amò?” 

Fare del bene per ottenere la vita eterna o ereditarla?

La domanda posta del giovane ricco era questa: in che maniera ottenere la certezza della vita eterna?  Gesù rispondeva con la rivelazione della sua persona ma ciò non bastava e non veniva compresa. All’inizio dell’incontro, era successo un gesto eloquente del giovane: si inginocchiava. Non era un atto formale, era fatto di corsa perché Gesù non si allontanasse, e in mezzo alla via, con una pubblicità evidente per tutti quelli che transitavano, quindi atto sottoposto alle critiche dei passanti. E’ bene  anche per noi di assumere quell’atteggiamento del giovane, fermare Gesù e inginocchiarsi prima che Lui si allontani dalla nostra vita. L’argomentazione dopo la parola Maestro Buono scivolava sul concetto della vita eterna: si merita o si eredita? Gesù saprà rispondere al quesito? Si Gesù rispondeva elencando parti del decalogo. Interessanti sono le differenze raccontate negli Evangeli cioè l’ordine cronologico dei comandamenti citati da Gesù, e se questi assumono ulteriori insegnamenti. Intanto occorre dire che sono esclusi i comandamenti che riguardano Dio in modo esplicito. Infatti il giovane aveva davanti a se Colui che poteva dire senza conseguenze per la sua persona il “Sono Io”  e non l’ “Io Sono”; sfiorando l’essere atterrato come morto. Infatti Gesù lo assolve per l’atto di riverenza e di adorazione effettuato, cioè precedentemente si era inginocchiato difronte all’unico Maestro Buono.

Una sconcertante elencazioni di comandamenti.

Quindi Gesù prosegue con l’elencazione dei comandamenti secondo un ordine:

  1. ) ( Evangelo di Matteo) Non uccidere
  2. ) Non commettere adulterio
  3. ) Non rubare
  4. ) Non attestare il falso
  5. ) Onora padre e madre
  6. ) Collegato all’onora il padre ama il tuo prossimo come te stesso
  7. ) Vendi, vieni e seguimi

 

  1. ) (Evangelo di Marco) Non uccidere
  2. ) Non uccidere
  3. ) Non rubare
  4. ) Non attestare il falso
  5. ) Collegato al falso e a far danno o frodare il prossimo
  6. ) Onora padre e madre
  7. ) Vendi, vieni e seguimi

 

  • (Evangelo di Luca) Non commettere adulterio
  • Non uccidere
  • Non rubare
  • Non dire il falso
  • Onora padre e madre
  • Vendi, vieni e seguimi

Qual’ è allora la differenza evidente tra i tre racconti evangelici? Proviamo a rispondere con tre sottolineature:

  • (Evangelo Matteo) Il primo comandamento citato dal Salvatore e Maestro Buono è ” non uccidere”; come detto collegato all’onore reso ai genitori e con l’aggiunta (v. 19) di amare il tuo prossimo. Gesù probabilmente avendo fatto prima riferimento al ripudio o divorzio (Ev. Matteo 19:3-11) sembra dire che amare il prossimo, in questo caso la moglie, anche se vi sono problemi tra i coniugi, l’amore sia sempre meglio di una separazione. L’unico motivo per cui Gesù ammette un distacco da ciò che Dio ha unito, se Lui ha unito, è la fornicazione perché con quell’atto si infrange l’unione dei due, divenuti una sola carne. Questo non esclude il perdono o l’amore per il prossimo, cioè per la moglie fedigrafa o viceversa. Infatti Gesù rifiuta l’atto di ripudio come atto ispirato da Dio, ma (v. 8) ne addebita a Mosè e alla durezza dei cuori umani, l’origine e le conseguenze. Perciò in questo caso, in cui il Signore Gesù è avvicinato dai religiosi per tentarlo, spiega che non esiste un ripudio per<qualsiasi motivo>, ad appannaggio e gradevolezza  del solo marito. Gesù aveva già affrontato il quesito nell’Evangelo di Matteo (5:31) e al (V. 42) consigliava <di non voltare le spalle> alla richiesta di perdono, e diceva  (v. 43-44) Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico, ma Io vi dico amate i vostri nemici, benedite quelli che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano. Nella mente del Signore, appare chiaro e limpido come non perdonare, equivalga a uccidere un rapporto (Ev. Matteo 18:22) Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Indubbiamente il pensiero del perdono è un atto divino e superiore della fragile condizione umana, sempre pronta a far valere le questioni di principio, e insensibile alle ragioni di altri. Per questo motivo quando (Ep. Giacomo 3:8)  parla della lingua, la classifica < piena di veleno mortale>
  • ( Evangelo Marco) In questo Evangelo il primo comandamento citato da Gesù è ancora ” non uccidere. “ collegato come accennato, a dire il falso, e (Marco 10:19) cioè a non far danno ad alcun altro o frodare; oltre alle riflessioni già sopra menzionate sull’adulterio o ripudio. In questo contesto di frode, vengono in mente  le parole (I Ep. Corinzi 7:5) Non privatevi (non frodate: versione Diodati) l’uno dell’altro, se non di comune accordo, per un tempo, per dedicarvi alla preghiera; e poi tornate insieme perché Satana non vi tenti a motivo della vostra incontinenza. E’ significativo che il termine frodarvi, sia applicato da Paolo alla coppia, altresì, come Gesù applichi il sostantivo al concetto di matrimonio. Qual’ era l’insegnamento? Quello di non accreditare il falso e così frodare l’altro coniuge in un processo di divorzio o ripudio. L’evangelista (Marco 10:11-12) riporta che non solo l’uomo mandava via la moglie a proprio piacimento, utilizzando un’autorità usurpata e scusanti inconsistenti che non riguardavano l’adulterio, ma pure la donna lasciava il marito sentendosi libera dal vincolo contratto. Il comandamento sopracitato dal Signore Gesù aveva ancora una valenza riguardo l’adulterio spirituale, così facile a cadervi dentro da parte del popolo, e da noi, cioè quello di cadere nel peccato e sovvertire la Grazia, quindi ucciderla. Ancora Paolo  (Ep. Romani 2:21-24) riprenderà i medesimi argomenti di Gesù per ammonire tutti. E’ bene riportare la Scrittura che afferma: <come mai dunque, tu che insegni agli altri,  non insegni a te stesso? Tu che predichi: non rubare! Rubi? Tu che dici: Non commettere adulterio! Commetti adulterio? Tu che detesti gli idoli, ne spogli i templi (o versione Diodati; commetti sacrilegio), Tu che ti vanti della Legge disonori Dio trasgredendo la legge? Infatti com’è scritto: Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra fra gli stranieri. Sembra strano ma questo argomento attraversa tutto il Nuovo Testamento;  (Ep. Giacomo 2:11) Poiché Colui che ha detto: non commettere adulterio, ha detto anche: non uccidere. Quindi se tu non commetti adulterio, ma uccidi sei trasgressore della Legge. (v. 10) Chiunque infatti osserva tutta la Legge ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. Ancora (Ep. Giacomo 4:4-5) O gente adultera non sapete che l’amicizia del mondo, è inimicizia verso Dio? chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio. Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che: Lo Spirito che Egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia? Perciò consapevoli dell’amore del Padre, manifestato dal Signore Gesù, allontaniamoci dall’idolatria e (Atti 20:27) non mi sono tirato indietro di annunziarvi tutto il consiglio di Dio…per pascere la chiesa di Dio, che Egli ha acquistata con il proprio sangue.
  • (Evangelo di Luca) Il primo comandamento riportato è <Non commettere adulterio> vi è una differenza con l’Evangelo di Marco e di Matteo, dove viene citato per primo il comandamento di non uccidere, perché il riferimento non riguarda il divorzio, materia più pertinente, ma è riferito al fatto del fariseo e del pubblicano. Il disprezzo del fariseo (Luca 18:9-11) era chiaramente descritto e la preghiera assumeva l’elencazione dei comandamenti osservati. Il vanto del fariseo esponeva di non essere come gli altri uomini, ne tantomeno come il pubblicano, di non rubare, di astenersi dall’adulterio, di esimersi dall’ingiustizia, di non sottrarsi dal pagare la decima e dall’esentarsi dal digiuno. Erano sette azioni che il fariseo compiva, dispensandosi così da solo, di essere approvato e giustificato dal Signore. Purtroppo la giustizia divina è diversa da quella umana, si basa sulla Grazia, virtù estranea a quella umana. La sterile osservanza della Legge, fallita nel punto di non amare il prossimo, rendeva inutile l’ubbidienza ai punti sopracitati. L’invocazione <O Dio abbi pietà di me, peccatore!> è veramente conseguente ai sentimenti divini. Il triplice atteggiamento del pubblicano: stare a distanza, non alzare gli occhi al cielo, battersi il petto chiedendo pietà, ci forniscono un quadro esauriente di un cuore avvolto dalla pietà di Gesù Cristo, e non rivolto al proprio Io.

Una cosa che manca

Occorre dire che dopo quanto accennato, il dialogo di Gesù con il giovane ricco proseguiva con un’altra argomentazione. Visto che non ha riconosciuto il Maestro Buono come unico Salvatore, venuto in Grazia e come compimento della Legge, ecco la sufficienza umana vantata con una certa dose di fastidio, e comunicata con la frase: <Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù>.Peccato che non sia approdato a nulla, in quanto alla fede. Allora ecco il consiglio lungimirante di Gesù che lo amava: vendi, vieni e seguimi. La risposta del possidente era esemplare perché denotava dove il cuore del giovane dimorava, aldilà dell’essersi inginocchiato, e rivolto domande sulla fede e sulla salvezza. Molti hanno lo stesso atteggiamento: dopo un certo interessamento per le cose spirituali; si lasciano trascinare, quasi un andare lentamente alla deriva, per spiaggiarsi in un terreno paludoso, dove la caratteristica è sprofondare sempre più in basso. Che tristezza! Eppure le premesse per camminare con Gesù vi erano tutte. La Scrittura giustamente sottolineava <se ne andò rattristato> il non uccidere del comandamento non era stato sufficiente a distogliere il giovane ricco da una scelta mortale e ineluttabile. L’atto d’amore di Gesù riportato da Marco <l’amò>  non era stato ritenuto adeguato e soddisfacente per interrompere la precedente vita e seguire Gesù. La domanda <che farò per ereditare la vita eterna?> non riceveva una vera risposta, perché la fede non era nata.

Conclusione.

Il racconto biblico termina con una riflessione di Gesù (Ev. Matteo 19:23) difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ben aldilà sulla retorica della ricchezza, rimane certo che se siamo ricchi della nostra umanità, non vedremo  il Maestro Buono, se invece sconvolgendo i nostri valori, ci affideremo a Lui il regno del cieli sarà la nostra meta. (Ev. Matteo 20:28) Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti. Ci auguriamo che tutti i nostri lettori facciano parte dei molti.

Ferruccio IEBOLE

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