DICENDO IN LINGUA LICAONICA

In quale lingua hai bisogno di udire il messaggio di salvezza? In una lingua strana come quella udita nell’esperienza dell’Apostolo Paolo, e con quali conseguenze? L’episodio cui Paolo nel Libro degli Atti, accenna è emblematico per le riflessioni che ci comunica, vedendo svelarsi nel racconto la verità e capendo come la buona fede o il rimanere nelle pratiche idolatriche, non siano adeguate per essere approvati ed accolti da Dio. Non ha nessun fondamento che ritenendoci più buoni, più bravi e onesti siamo favoriti e ricevuti dal Signore, neppure essere arpionati dagli strali dell’Avversario di Gesù ci rendono più accettevoli o immeritevoli. Anzi si può affermare che instaurare relazioni con lo spiritismo e con anime trapassate sia sbagliato, come far dipendere la propria vita dagli oroscopi o dalle stelle, sia contrario alla volontà del Signore. Dio ci conosce e ci conferma il suo immenso amore anche per i suoi dichiarati nemici, e tali siamo identificati dalla sua inflessibile giustizia, ma potenziali usufruitori della sua Grazia se crediamo nella riconciliazione operata dal Salvatore Gesù. Il rapporto con il Signore deve essere inteso nella Verità della Sua Parola e illuminato dallo Spirito Santo, che ci fa partecipi delle certezze divine per raggiungere la vera fede e la salvezza eterna.
Un miracolo strabiliante
(Atti 14:11-12) La folla veduto ciò che Paolo aveva fatto, alzò la voce, dicendo in lingua licaonica: Gli dei hanno preso forma umana e sono scesi fino a noi. E chiamavano Barnaba Giove e Paolo Mercurio, perché era lui che teneva il discorso. Il quadro che emerge da questo evento è veramente singolare, nel vedere come l’uomo sia pronto a gettarsi a capofitto nell’errore e diffidente a valutare la Verità, proposta nella testimonianza dell’Evangelo e riferita con autorevole forza, fermezza e potenza di opere dagli apostoli. La guarigione dello zoppo, miracolo accordato per il barlume di fede, nata dall’ascolto della Parola predicata dai due apostoli, e creduta da parte dell’ indigente, faceva si che il malato si mettesse a saltare e a camminare. E’ vero, l’ascolto della Verità e l’appropriarsi della realtà del messaggio di salvezza attraverso la fede, provoca atteggiamenti che la gente giudica strani e stravaganti. Contenere l’equilibrio e l’aplomb quando uno che non aveva mai camminato correttamente e si ritrovava in un batter d’occhio guarito, rimaneva difficile arginare il moto di felicità per la salute ritrovata. Accade la stessa cosa quando si raggiunge la certezza della salvezza spirituale; la pace che ricolma il cuore del peccatore perdonato è incontenibile e nel cuore o nell’anima del miracolato o della miracolata, nasce prorompente una necessità di testimoniare l’esperienza di vita vissuta con il Salvatore. Nascere di nuovo, d’Acqua e di Spirito è travolgente, muovere i primi passi con Gesù è sinonimo di grande felicità e speditezza nella testimonianza.
Uno sguardo deviato
Indubbiamente questo miracolo aveva lasciato un grande segno; notevole era la presa di posizione del sacerdote di Giove che: (Atti 14:13) voleva offrire un sacrificio con la folla. Come sono veloci quelli che nulla hanno a che fare con la Verità, a inserirsi in mezzo ai miracoli. Cosa ancora più allarmante, coinvolgevano la folla in atti idolatrici terribili, non discernendo nulla se non il centro dell’attenzione. Anche oggigiorno vi sono molti sacerdoti di divinità idolatriche che inducono le folle a pratiche false, dove non vi è nessuna presenza del Signore, e indicando traguardi costosi e irraggiungibili ai fedeli. Quello che appare in queste strane processioni o agglomerati di persone, oltre agli uomini, sono presenti gli animali cioè dei tori e delle ghirlande, ovvero dei fiori. Questa visione delle cose ci interrogano su come il mondo non sia cambiato da allora; una distorta considerazione degli animali equiparandoli agli umani, portano a una divinizzazione delle bestie. In quel caso erano i tori, esaltati per la loro forza bruta ed esuberante, i quali se toccati, trasmettevano forza e potenza anche agli uomini.
Per persone abituate alla superstizione, al fatalismo, ai riti idolatrici poteva sembrare una pratica con una logica appagante. Poi, questa manifestazione veniva ingentilita dalle ghirlande di fiori profumati che proiettavano nell’aria la loro aromatizzazione e impregnavano anche i vestiti dei partecipanti di olezzi piacevoli. Occorre dire che ancora queste due pratiche, sono presenti in molti riti i quali si dicono cristiani, ma che nulla hanno a vedere con la Verità e con il Signore. Città infiorate o corsa di tori per le vie cittadine sono forme di culti ancora contemporanei e odierni, che ricalcano le antiche cerimonie con omaggi e devozioni per idoli. Adorare gli idoli in un eccesso di deferente misticismo e attuare un rispettoso e riverenziale onore per gli officianti, fa precipitare nell’oscurantismo e nelle tenebre più cupe. L’Evangelo e la sua luce è il solo rimedio a questo procedere fuligginoso.
Un messaggio diverso
Paolo e Barnaba chiariscono subito che non erano ne Mercurio ne Giove; anzi non assumevano nessuna commiserazione per l’ignoranza professata da quelle folle, ma respingevano sdegnosamente qualsiasi associazione a idoli o divinità credute nelle città visitate. Non v’era spazio per nessun compiacimento o commiserazione della folla infatuata dall’idolatria. (Atti 14:14-15) Ma gli apostoli Paolo e Barnaba udito ciò, si strapparono le vesti e balzarono in mezzo alla folla gridando: uomini, perché fate queste cose? Non v’era nessun esitazione nel condannare quelle pratiche; lo stracciarsi i vestiti era un evidente atto di dissociazione. Se i profumi di ghirlande sui vestiti degli abitanti di Listra o Licaonia erano accettati e ambiti, il solo essere oggetto di pensieri idolatrici sconvolgevano gli apostoli, fino a stracciare i propri mantelli e abiti. Bisogna dire che gli apostoli nel compiere quel gesto, comunicavano che erano avulsi da quel modo di pensare e che stracciare gli abiti significava preferire la povertà dell’Evangelo, che i fasti o gli agi del mondo e dell’idolatria.
Si, perché una caratteristica dell’ idolatria di ogni tempo risiede nel fasto, nell’esibizione della ricchezza sfrontata ed esibita in faccia ai poveri adepti. Non per nulla in certi riti vengono mostrati in pubblico i tesori nascosti, e ostentati abiti lussuosi da parte degli intrallazzatori, capi finemente ricamati con indossate collane o catene preziose d’oro. Che differenza con gli apostoli che vestivano abiti comuni ed erano disposti a disfarsene perché insozzati dalla vicinanza e dal profumo del mondo. Un vero ammonimento anche per noi che sovente senza accorgercene, assumiamo gli atteggiamenti mondani, non distinguendo più ciò che è biblico e quello che non lo è. L’orrore di essere sfiorati da quell’atmosfera di idolatrica matrice, faceva prendere le giuste distanze sul piano della partecipazione, tuttavia era un’occasione non per rifiutare ogni approccio, ma utilizzare una utile proposta per annunziare la grazia di Dio, Creatore e Signore.
Il messaggio dei due apostoli, compagni d’opera, era indirizzato a questi meschini chiedendo di uscire da questo paralizzante stato di vanità senza senso. La richiesta dopo aver loro predicato la Grazia, era di convertirsi a Dio. Ovvero era di distaccarsi dalla confusione degli idoli e dai loro riti, per rivolgersi al Dio Vivente. (Atti 14:15) E vi predichiamo che da queste vanità vi convertiate al Dio Vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi. Dunque Paolo identificava il Dio Vivente proclamato il Creatore, come Colui che assiste alle sconfessioni umane nel disconoscerlo come Autore della creazione, nel ricusarlo come Padrone del mondo, il quale proferisce menzogne vantando una creazione non eseguita. Oggigiorno vi è una totale ferocia contro l’autorità di Dio, per affermare la contrarietà alla sua Signoria, sovvertendo la narrazione della creazione, con l’idea del mondo prodotto dal caos. Per il mondo l’importante è contestare le sue affermazioni fatte nella Bibbia, non più ritenuta Parola di Dio.
Una cultura vanitosa
Ancora, gli uomini vanitosi negano ogni riferimento alla creazione dell’uomo dicendo di una evoluzione dalle scimmie, o contestando i giudizi passati come il diluvio, come la morte della moglie di Lot, o come Sodoma e Gomorra, proponendo licenziosità aberranti come normalità, squalificando chi non è d’accordo con la cultura esistente. Bene, Paolo propone la conversione alle Parole di Dio, facendo notare che la testimonianza divina nonostante le apparenze, non si sia mai arenata. Nel tempo, le stagioni fruttifere e abbondanti testimoniavano della bontà di Dio, il quale richiamava gli uomini a tornare a Lui con fede. Ora si apriva la via della conversione con l’annunzio dell’Evangelo e gli abitanti di Listra, Licaonia e Derba dovevano distinguere che, non gli dei erano scesi in mezzo a loro, ma la Verità induceva ad andare a Cristo per essere salvati. Rimanere nell’idolatria, equivaleva a dire che Dio fosse un mentitore, che la sua Parola non fosse eterna e nemmeno creatrice. Invece il Dio Vivente predicato da Paolo e Barnaba vantava dispensazioni di abbondanza e di letizia verso dei suoi denigratori. Il miracolo sullo zoppo affermava la veridicità dell’annunzio; (II Ep. Corinzi 6:6-7) Con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero, con un parlare veritiero, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia. Ecco il vivo contorno.
Uscire dall’idolatria
Orbene, queste ultime parole di Paolo ci confermano come l’Evangelo e il suo messaggio rivestano condizioni di virtù evidenti, che trovano radici nell’amore di Gesù per i peccatori. Sembra inverosimile come sottoponiamo i nostri cari lettori a riflettere sull’opera di Cristo Gesù sulla croce, ma quando leggiamo (II Ep. Corinzi 5:21) affinchè noi diventassimo giustizia di Dio in Lui, un grosso grazie non si può frenare, uno spontaneo inno di lode per il nostro Salvatore sale nel cuore. Il parlare veritiero con potenza di Dio è la nostra esperienza, corroborata dalla luce dello Spirito che rivela l’immenso amore di Dio per i suoi figli. Il nostro semplice intento, fatto in maniera insufficiente, prende spunto da (II Ep. Corinzi 6: 1) La nostra bocca vi ha parlato apertamente…il nostro cuore si è allargato. E’ vero per noi ripetere certi concetti, già incorporati per la fede è cosa lieve, ma sempre fonte di meditazione per la nostra fragilità. Vorremmo il bene per i nostri lettori, che se avvinti dall’idolatria anche inconsapevolmente, riuscissero a distendere lo sguardo di fede oltre; verso il Salvatore. ( II Ep Corinzi 6: !5-16) E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il fedele e l’infedele? E che armonia c’è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo il tempio del Dio Vivente.
Quest’ultima locuzione è veramente importante; non può esistere comunione con Dio e l’inginocchiarsi difronte a statue di legno, di ceramica o di marmo; Dio non gradisce simili adoratori. Nemmeno certe effige di personaggi cari alla tradizione popolare, designati come santi possono essere accettate dal Signore, che non ha ancora retribuito nessuno con il suo giusto e splendente giudizio. Quindi occorre avere chiarezza sull’armonia fra il tempio di Dio e gli idoli. Il Signore afferma (II Ep. Corinzi 6:17) Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’impuro; e IO vi accoglierò. Il Signore pare dare un giudizio drastico come nel caso dei vestiti degli apostoli, essi non volevano profumare dei fiori delle ghirlande; qui Dio comanda di uscire e di separarsi dagli idolatri. Ragioniamo; la separazione deve essere dalla credenza, dal concetto religioso, dalla pratica idolatrica, che riveste e coinvolge il nostro corpo, il nostro cuore e lo spirito; le persone devono essere salvaguardate, a meno che, cerchino di coinvolgerci in situazioni di disubbidienza ed errore palese. Se ubbidiamo a Dio il Vivente, mediante la luce dello Spirito Santo, nessun ostacolo frapposto dall’Avversario sarà sufficiente a distogliere il cammino verso la fede e la Grazia. (II Ep. Corinzi 7:10) Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte. Bisogna essere chiari, il lavorio della fede nel cuore di un peccatore, non sempre ma sovente, è un’opera lunga; il ravvedersi con la Parola richiede fiducia, abbandono e tempo, ma una volta iniziata l’azione di rinnovamento dallo Spirito, il gradevole risultato della salvezza realizzata, colmerà di gioia e felicità il peccatore rinato. <Non c’è mai da pentirsi> dice la Bibbia ed è vero. Il lasciare la vecchia vita, l’abbandonare vecchie credenze e vetuste idolatrie non provocherà rimpianti di sorta, perché la gioia dello Spirito è maggiore di ogni recriminazione e rammarico per la vita passata perché è morta.
Ancora un episodio
(Apocalisse 19:10) Io mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo. Io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che custodiscono la testimonianza di Gesù: adora Dio! Perché la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia. L’apostolo Giovanni attratto dalla visione gloriosa delle nozze dell’Agnello e sollecitato a descrivere la scena, utilizzando parole veritiere, si prostrava davanti all’angelo per adorare questo messaggero affascinante e misterioso, che rivelava una vicinanza con il celeste. L’angelo consapevole della sua posizione rialzava prestamente Giovanni, per non assecondarlo a compiere un atto contrario al comando del Signore. Questo chiaro atteggiamento e la conferma vocale dell’angelo, sulla sua collocazione nella sfera celeste, induce a capire che nessun atto di adorazione o di preghiera, può essere rivolto a questi spiriti, che non possono intervenire a nostro favore, se non inviati espressamente da Dio per salvaguardarci da tentazioni o pericoli, come la storia biblica ci racconta in alcuni casi con dovizie di particolari. Perciò è bene ricordare, come l’adorazione va rivolta solo ed esclusivamente a Gesù e a Dio suo Padre; tutti gli altri personaggi a cui ci rivolgiamo per richiedere ogni tipo di aiuto, con preghiere o invocazioni sono ritenuti da Dio atti d’ idolatria, senza ombra di confusione o di dubbio. Se abbiamo necessità di qualche intervento divino, affidiamoci al Salvatore Gesù, l’unico mediatore fra Dio e gli uomini, come ben specifica la Bibbia.
Conclusione
Il profondo ringraziamento a Dio è la nostra ricompensa, per tutti quelli che ci scrivete cari amici, rincuorandoci per redigere queste brevi note d‘incoraggiamento, per leggere fruttuosamente la Bibbia: ( II Ep. Corinzi 9:14-15) Essi pregano per voi, perché vi amano a causa della Grazia sovrabbondante che Dio vi ha concessa. Ringraziato sia Dio per il suo dono ineffabile.
E’ per Gesù che volgo a Te lo sguardo,
Per Lui che ci ha redenti col suo amore,
Tu non puoi rigettar da Te quel cuore,
Che in Gesù Cristo ha posta la sua fè.

Ferruccio IEBOLE

Lascia una risposta

Your email address will not be published / Required fields are marked *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>