INVITO ALLE NOZZE
La semplificazione del discorso evangelico nella parabola per Gesù è fondamentale; infatti per spiegare le realtà del regno celeste prende spunto da una celebrazione di nozze, per inculcare negli ascoltatori come alla base della grazia divina ci sia l’amore per il peccatore ravveduto, a cui riserva, senza merito alcuno, la posizione di gloria nell’eternità.
La parabola delle nozze riportata nell’Evangelo di Matteo 22:1-14 ci prospetta una sana indicazione dell’appello alla conversione e a riflettere sull’invito celeste rivolto a tutti. Le nozze e il relativo banchetto sono pronti; per due volte al versetto 4 e 8 viene ripetuto “Tutto è pronto”. Interpretando in modo spirituale il brano della Scrittura possiamo affermare che al banchetto della Parola, cioè Gesù, il nutrimento è assicurato: vi sono cibi solidi, leggeri e latte puro come quello di I Pietro 2:2. Dal punto di vista organizzativo tutto è perfetto, preparato da mani esperte, ma mancano gli invitati: non sono degni. Per capire la dignità del luogo dell’invito e valutarne la preziosità del sito, occorre andare a leggere nell’Apocalisse 4:3 a 11 e scoprire le qualità del posto e Chi vi abita.
Un luogo sontuoso
Il Re come nella parabola, siede sopra un trono e non poteva che essere così, la sua figura assomiglia alle cose più preziose e gloriose che conosciamo, diaspro, sardonico, ecc. circondato da un arcobaleno di smeraldo; anche il trono è circondato dalla purezza di cristallo. Il luogo è caratterizzato da sette lampade accese che sono i sette Spiriti di Dio, i quali illuminano in maniera sfolgorante la scena, non vi è spazio per nessuna tenebra. Si può stabilire che vige una luce chiarissima quindi si vede bene, anche le creature (versetto 7) piene di occhi, davanti, dietro e vedono distintamente senza confondersi. Poi si ode una voce (versetto 8) che proclama Santo, Santo, Santo Dio Onnipotente con una caratteristica “che era, è e viene” per specificare la vita, l’essere, la manifestazione di questo Dio. Ancora, i ventiquattro anziani, simbolo della saggezza nel prosternarsi davanti a Dio dicono (versetto 11) “Tu sei degno o Signore e Dio nostro di ricevere gloria, onore e potenza”. Perciò si può affermare che con un simile Re, come nella parabola, il banchetto delle nozze del Figlio (Matteo 2:2) era speciale, magnifico e sorprendente.
Una stupenda figura: un Agnello
Riassumendo sulla degnità in Apocalisse 5:6 c’è un Altro con le qualità specifiche di Dio, ma è un Agnello, (Ap. 5:2-4) degno di compiere la volontà divina. L’Agnello ha già dato prova vincente nella redenzione degli uomini, Apocalisse 5:9-10 “Tu sei degno di prendere il libro…perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio con il tuo sangue gente d’ogni tribù, lingua, popolo e nazione…” Un Agnello, un Figlio del Re, che possiede come il Padre : (Apocalisse 5:6) i sette Spiriti e riceve gloria, onore e potenza e adorazione (Apocalisse 5:14) dagli anziani. Chiarito chi è l’invitante alle nozze e il figlio, al succulento e pronto banchetto occorre guardare con circospezione agli invitati.
Le categorie degli invitati
I primi (Matteo 22:3) “non vollero venire”: vanno da un’altra parte, la presenza del Re e del Figlio non li attira, mettere del tempo da parte per questo invito pare futile, sono altre le motivazioni che guidano la vita degli indifferenti. I secondi (versetto 5) “non curandosene, se ne andarono” hanno preso le distanze dalla voce dell’invito e non se ne curano. Il significato vero del verbo curare lo si ritrova nell’opera di Gesù verso la sua Chiesa, ovvero tutti i credenti per la fede che formano il Suo corpo. Nell’epistola agli Efesini 5:25-26 ci vengono elencati i verbi operanti di Cristo: amato, santificata, lavata, resa gloriosa, senza difetti, irreprensibile, poi (versetto 29) la nutre e la cura con un aggettivo sorprendente: teneramente. Qui scopriamo cosa vuol dire curare cioè avere amore, Gesù ama la Chiesa, il Suo corpo ed ha per lei sacrificato la sua vita. Possiamo quindi stabilire che i secondi invitati, non sentivano nessun amore per il Re e per l’invito. Infatti il campionario di scuse è nutrito: vado al campo ovvero penso al profitto,… di questi tempi… avranno ragionato. Poi: Ho il commercio, medito sul mio traffico fatto di insonnia e di fatica, di progetti per ingrandirmi, di accumulo di denaro e onore. Altri, dice la Scrittura: maltrattano i servi hanno atteggiamenti malsani e poco educati verso degli ambasciatori, sono privi di sentimenti e di rispetto umano. Infine: altri uccidono, tolgono di mezzo dei fastidiosi messaggeri di inviti, proclamatori di un bando di nozze e di un banchetto che non interessa, anzi si impedisce con la morte l’accesso alla notizia dell’avviso ad altri. Sebbene l’invito è stato ripetuto due volte non s’è trovato uno degno della convocazione. Siccome il Figlio del Re come espresso in Matteo 22:16 non bada all’apparenza delle persone, l’invito (versetto 10) è esteso a buoni, cattivi e a tutti quelli che si trovano; e questa volta la sala delle nozze è piena di commensali.
Chi è degno di partecipare
Sono degni questi ultimi? Quali requisiti sono richiesti per partecipare al cibo del banchetto? La Bibbia non dice qual è la condizione per partecipare nel suddetto racconto, ma conoscendo l’Evangelo, possiamo dire che come Rebecca è stata dotata di anelli e bracciali (Genesi 24: 47) dal Servo, ossia dallo Spirito Santo, per apparire gradevolmente a Isacco, cosi gli invitati dopo essere stati lavati e imbiancati, dall’acqua della Parola hanno ricevuto un abito (di giustizia) adatto alle nozze per essere degni come descritto sinteticamente nell’epistola ai Romani 13:14 “rivestiti del Signore”. Quando entra il Re (versetto 11 di Matteo 22) per vedere chi era a tavola, allo sguardo indagatore abituato alla luce sfavillante non sfugge un particolare. Come ha fatto ad accorgersi che uno in mezzo a una folla rumorosa e festante non aveva l’abito, non era degno? La domanda senza risposta dell’ammutolito è (versetto 12) come sei entrato senza l’abito di nozze, il requisito richiesto. Semplicemente, un evidente cono d’ombra appare sull’invitato truffaldino, in mezzo alla luce fulgente. L’allontanamento dell’intruso non si basa sulla moralità degli invitati, ma se avevano il vestito. Il tempo passato e trascorso nel peccato è stato perdonato da Gesù, che introduce il peccatore pentito e redento nella sala delle nozze, con il vestito che fa superare la prova dello sguardo indagatore divino. Alle nozze perciò non basta essere chiamati, invitati, non essere contrari o scettici, vissuti in famiglie di credenti, occorre essere eletti (versetto14). Al banchetto necessita aver fame del cibo spirituale cioè la Parola di Dio, la Bibbia; essa può essere cibo sontuoso per l’anima affamata, oppure può essere rifiutato perché troppo energetico, di non gradimento, che fa vomitare o giudicato troppo blando per risolvere la fame. Qualsiasi sia la nostra rispettabile idea sulla Bibbia, per chi l’accetta essa è l’alimento vitale come la manna per gli ebrei nel deserto, che è simboleggiato nella realtà cristiana, nel nutrimento con il corpo e sangue di Gesù (Giovanni 6:56) “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io in lui”. Tutti quelli che si nutrono al banchetto della Parola Gesù (Evangelo di Giovanni 1:1) “la Parola era Dio” e prosperano in comunione con Lui, non fanno la comunione ma la vivono e ubbidiscono realizzando l’unione intima con il Salvatore. Chi dimora nelle Sue parole dimora in Lui Gesù, l’evangelo di Giovanni 15:7 dice: “Se dimorate in Me e le mie parole dimorano in voi …” ci sarà un intento di volontà per glorificare il Nome del Figlio. Già in questa vita possiamo se cibati, portare raccolto come ben spiega nel suddetto capitolo 15 di Giovanni, quando si rimane nella vite maturano i frutti per il glorioso Salvatore.
La conclusione oltre la parabola
Il racconto impostato da Gesù termina con l’avvertimento di un giudizio tragico per il truffaldino e impostore, il suo luogo di dimora non sono le nozze del Re ma le tenebre di fuori e il dolore condito da pianto. Per quelli che invece sono rimasti nella gioia del banchetto, con l’abito degno, ci sarà ancora un futuro che viene ben illustrato in I Corinzi 15 da 51 a 57. L’ultima trasformazione sarà indossare l’abito della incorruttibilità, l’abito che proclama la vittoria della fede nell’opera di Cristo Gesù, pronti per le vere nozze apocalittiche e introdotti nell’eternità, come cita Apocalisse 21.2 “una sposa adorna per lo sposo”. Per questo motivo rendiamo testimonianza; I epistola di Giovanni 5:11 “E la testimonianza è questa, Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel Suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita”.
FERRUCCIO IEBOLE