DISTRUGGERE LA MEMORIA

Il grande sogno dell’Avversario per arrivare alla proclamazione delle parole  Pace e Sicurezza  (I Ep. Tessalonicesi 5:3 dovrà avere una gestazione lunga, ma finalizzata allo scopo conclusivo del riconoscimento dell’Anticristo, quale Messia atteso da un mondo in fermento, in crisi perenne di valori, in carenza di possibilità economiche, di futuro senza speranza e da un Israele sfiduciato, stremato da paura, da tensioni e incertezze, e da guerre logoranti. Per riconoscere un tale personaggio occorrono più cose: situazioni pericolose in tempi procellosi, assuefazioni alla menzogna, religioni unificate, modi di intendere la fede o meglio la falsa fede uguale per tutti, l’omologazione nei modi di pensare e di decidere, spettacolarizzazione di grandiosi eventi religiosi e distruzione della memoria. Su quest’ultima parola è in atto un lungo attacco che si percepisce ormai da qualche decennio, mirante ad annullare il valore dei simboli della comunione come primo punto e secondariamente la memoria. L’opera di dissuasione ha origine dalla manipolazione di lupi rapaci che disperdono il gregge con dei vani e pomposi discorsi teologici. Fanno mostra di conoscenza ma rinnegano la pietà di Cristo. La loro conoscenza si avvale di definizioni filosofiche e di commenti sulla Bibbia, indirizzati a confondere gli umili, i semplici, quelli che vorrebbero sapere, i quali sovente per scarsa profondità o mancanza di tempo, sono attratti da altre attività più accattivanti. Porre la mente e il cuore sulla Sacra Scrittura è un esercizio faticoso, e in tempi di pillole, si pensa a concentrati da ingoiare subito e sbadatamente. Per questo motivo, alcuni sono succubi di uno stato di noncuranza, di fretta e come detto di superficialità. Forse basta l’infarinatura delle nozioni, non la realtà forte. Nel campo della fede, infatti, l’esperienza del cammino con il Signore presuppone tempi lunghi per assuefarsi in modo sicuro e certo, ai suoi tempi e ai suoi disegni, alle sue risposte per maturare discernimento spirituale, non intermittente o emozionale.

Siccome alla base del progetto c’è un’ unità fittizia di chiese, non importano le differenze, i dogmi, gli addetti religiosi; ognuno può tenersi e professare ciò che vuole e i propri riti. L’importante è che sia avvezzo all’andazzo mondiale. Mondiale non proprio, perché gli scenari della storia degli ultimi tempi riguarderanno principalmente l’Europa, ovvero l’impero romano rinato e lo stato d’ Israele. Perciò occorre incamminarsi verso questa affascinante e ossessiva unità, di essere allegramente in tanti, supini ai voleri e agli ordini di qualcuno. Penso a come nel secolo scorso, lentamente ma in maniera inesorabile, siano maturati movimenti come nazismo e fascismo, le cui oceaniche riunioni osannanti i capi con acclamazioni uniformi ed elettrizzanti, di giuramenti, di fedeltà, siano cresciuti a dismisura coinvolgendo milioni di cittadini di un continente. Questi cittadini non erano tutti ignoranti e sempliciotti, molti possedevano culture superiori e lauree in varie materie scientifiche e umanistiche. Tutto questo, non ha impedito un coinvolgimento globale  in un immenso dolore per il genere umano. L’orrore delle due guerre mondiali, il cumulo di sofferenze e di violenze personali e collettive, non hanno neutralizzato  gli uomini dall’essere sempre sull’orlo del baratro di una guerra distruttiva e nucleare. L’orgoglio umano e la rivolta contro il Signore, il vero dominatore e mantenitore  del mondo, sono evidenti nella progressiva e incontenibile distruzione del pianeta che sarà arrestata dall’apparizione in gloria di Gesù dopo la Grande Tribolazione.

 Siccome gli uomini compiono sempre ciò che sanno fare e costantemente lo ripetono, non vi è da stupirsi se nel campo religioso o della fede, siano continuate quelle dimostrazioni ossessive e moltitudinistiche attorno a certi personaggi che promettono l’eldorado materiale e celeste. Il nuovo eden per tutti, da introdurvisi dentro con superficialità, consiste appunto nell’unica religione, senza più divergenze o resistenze al nuovo modo di concepire la Bibbia. Si, perchè la Bibbia sarà sempre presente, ma come libro ormai superato, come reliquia, come oggetto morto dalle manipolazioni e dalle cassazioni del testo; ancora, dalle interpretazioni umane fasulle. Una Bibbia perciò confacente a una parola di morte non di vita, una fonte d’ acqua amara, avvelenata, senza ristoro per gli assetati. Il cauterio di biblica memoria avrà effetto in maniera collettiva, tale da dimenticare che Dio parla e il suo Spirito illumina il messaggio. Perciò ora siamo nella fase intermedia, quella per distruggere la memoria della Bibbia come parola di Dio e dei simboli collegati alla memoria. Da tempo una sotterranea e continuativa avversione all’autorità della Parola, tende a ridimensionare il messaggio evangelico. La Bibbia non è più la Parola di Dio, la contiene solamente: per cui occorre la mediazione dell’uomo per stabilirne l’autenticità e la giusta interpretazione. Dice il Salmo (119:11) ho conservato la tua Parola  nel mio cuore per non peccare contro di Te, ma sembra non abbia più pesoUn altro scritto propone (Salmo 119:24) Le tue testimonianze sono la mia gioia, esse sono i miei consiglieri. Ancora, ( Salmo 119:59) Ho esaminato le mie vie e ho orientato i miei passi verso le tue testimonianze ma pare abbiano perso valore e che dire di  Insegnami i tuoi statuti (Salmo 119: 124-125- 130). Io sono tuo servo, dammi intelligenza perché possa conoscere le tue testimonianze. La rivelazione delle tue Parole illumina; rende intelligenti i semplici. Sono affermazioni che ribadiscono  l’eterna saggezza di Dio, ma contro questa prerogativa divina l’uomo perverso e peccatore vuole combattere e annientare la salvezza offerta per grazia mediante la fede.

Purtroppo la guerra alla Bibbia, non deriva apertamente da chi per secoli ha avversato la Parola, proviene da chi nel tempo ha sofferto persecuzioni, saccheggi, furti di bambini inviati in orfanotrofi ecclesiastici per allevarli con la religione di Izebel, carcerazioni in galere malsane, impiccagioni e roghi. La varietà dei supplizi proposti erano ben assortiti e come risultato finale avevano la distruzione dei testimoni dell’Evangelo. Ora in nome di una labile unità fra tenebre e luce, si propina una nuova salsa mediatica al fine di oscurare le menti, come negli anni trenta-quaranta del secolo scorso. Il bello però, è che nuovi predicatori cosidetti evangelici o anche dei Fratelli, sono attirati e ammaliati da questo inverosimile connubio, dopo decenni di chiusura e respingimenti al mittente per simili proposte. Perciò per arrivare a questo traguardo è evidente che necessiti sfumare fino a far svanire il prorompente messaggio dei simboli, per giungere dopo, a toglierli di mezzo con la conseguenza di annullare la memoria. Ecco spiegato l’ostracismo ai simboli del pane e del vino come prima tappa da eliminare. Infatti, mai nessuno si sarebbe permesso di modificare o alterare i due elementi preziosi, perchè come rivela la Scrittura: (Ev. Luca 22:20)  Questo calice è il patto nel mio sangue che è versato per voi. Toccare in negativo i simboli vuol dire annullare il patto, disconoscerlo, cancellare un elemento qualificante che ricorda gli ultimi tempi del cammino doloroso di Gesù sulla terra.

Qualcuno ha iniziato ad affermare che la rammemorazione tutte le domeniche è solamente un’ abitudine superflua, sono sufficienti poche volte all’anno; (si attendono altri premurosi proclamatori di questo nuovo verbo con altre analisi o tematiche). Invece no! Chi si oppone o consiglia un simile atteggiamento di spazzare via i simboli, è perché non vuole o non ha tempo di esaminarsi alla luce della Parola; tende ad avere una valutazione dei suoi peccati nel cospetto di Dio come un qualcosa da diluire nel tempo, cioè con un cammino non sotto lo stringente sguardo indagatore della Bibbia. Il presentare il pane tagliato, durante la santa cena del Signore alla chiesa riunita, non impedisce l’igiene delle mani di chi lo taglia se non usa guanti, ma distrugge l’idea del corpo rotto per i peccati (Ev. Marco 14:22) Mentre mangiavano, Gesù prese del pane: detta la benedizione lo spezzò, lo diede loro e disse: Prendete questo è il mio corpo, poi preso un calice e rese grazie, lo diede loro e tutti ne bevvero. Poi Gesù disse: Questo è il mio sangue, il sangue del patto che è sparso per molti. Quindi il vero insegnamento di Gesù è la sottolineatura di un unico pane con la caratteristica di essere rotto per l’efferatezza mortifera del peccato; immagine svanita da pezzetti di pane tagliati, dove ognuno è protagonista individuale dell’atto, senza la visione del corpo unitario e perdendo come detto, anche la figura del corpo rotto.  Qui si tratta di ricordare il significato dell’unico corpo di Gesù sottoposto alle sofferenze, di rammentare il martirio della croce, di valorizzare la resurrezione del Suo corpo. Si considera attentamente e si conclude affermando che la chiesa è il suo corpo unico, rappresentato dal pane come insieme della comunione con il corpo di Cristo, dove idealmente si vedono le molte membra che formano il corpo, tendenti a ricordare le promesse del suo essere sempre, in ogni tempo con i credenti che attendono il suo vicino ritorno. Ancora, un corpo cioè la chiesa, che rende un culto al proprio Salvatore osservando i suoi dettami e i suoi ordinamenti, intorno al patto salvifico per eseguirlo con scrupolo; una chiesa ubbidiente nella forma e nella sostanza ricordata e insegnata dalla Bibbia. Nell’ammonimento della I Ep. ai Corinzi ( 11: 29) siamo invitati a discernere il corpo del Signore rappresentato dall’unico pane, non da pezzetti pretagliati.

 Stessa cosa per il calice, un invito a ripetere la gestualità di Gesù per ricordare come quel contenitore trasparente e cristallino colorato dal rosso del vino, rammenti in primo luogo il calice dell’ubbidienza al Padre, che diviene amaro e pieno di sofferenze per l’Unigenito, ma non è rifiutato anzi assaporato fino all’estrema conseguenza cioè la morte. Ben illustra l’apostolo Paolo con la dizione: (Ep. I Corinzi 11:23) nella notte in cui fu tradito. Quel calice era ed è elevato prepotentemente sulle tenebre del mondo, sul buio del rifiuto d’accogliere il Salvatore, Re, e Messia. E che dire sul rigetto di porre mente ai suoi patimenti e angosce; quel calice splende e proietta ancora oggi uno spaccato di luce spirituale per intendere le inaudite afflizioni sopportate, come la pecora descritta dal profeta (Isaia 53:7) Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, Egli non aprì la bocca.  In secondo luogo il calice colmo di vino è il simbolo della grazia e del sangue cioè del martirio che diviene perdono dei peccati per gli uomini, descritto chiaramente in (Ev. Giovanni 19: 34) ma uno dei soldati gli forò il costato con la lancia, e subito uscì sangue e acqua.

L’idea o l’analisi proposta dal racconto della crocifissione è che da quel corpo immolato è uscito acqua, figura della grazia, e sangue, immagine eloquente del sacrificio rinnovatore di Gesù. L’apostolo Pietro poteva affermare (I Ep.  Pietro 1:18-19) Sapendo che non con cose corruttibili, con argento o oro siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo come quello di un agnello senza difetto, ne macchia. Perciò sostituire il calice, simbolo delle sofferenze e figura del patto d’amore nel sangue suo con dei bicchierini, è un arbitrio inammissibile, ma ora tollerato e promosso per il fine, come visto, della distruzione della memoria. I bicchierini esprimono un individualismo esasperato portato a regola, infischiandosene dello scritto di I Ep. ai Corinzi (10:16) Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? L’avviso evidente di Paolo apostolo è che noi (plurale) partecipiamo al rito di rammemorazione collettiva con l’intento di benedire assieme il Signore, spiegato con le parole  Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore finchè venga (Ep. I Corinzi 11:26). Dalla lettura di questo versetto appare evidente che il pane e il calice assumono oltre al significato di stimolanti simboli, quello di promuovere la riflessione personale (Ep.  I Corinzi 11: 27) Perché chiunque mangerà  il pane o berrà il calice indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ancora, si favorisce il potente annunzio della morte del Signore e del ritorno di Gesù Cristo. Tra questi due termini, cioè il ricordo delle sofferenze e morte e il ritorno trionfale del Salvatore per rapire la sua chiesa, si deve svolgere di pari consentimento il culto di adorazione al Signore. Questi due punti basilari, ci insegnano come l’essere assieme con altri credenti per adorare, ci indirizzino nell’ordine a realizzare ciò detto dal salmista  (Salmo 133:1) Ecco quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli dimorino insieme, figura di riscattati i quali formano un corpo, e che ritornano singoli nel momento di approssimarsi davanti ai simboli per esaminarsi e così partecipare liberamente alla comunione.                      

Significativamente, nel culto di adorazione cristiano, non v’è posto per presidenze umane o dirigenza che non sia ispirata dallo Spirito Santo, presente secondo le promesse divine; perciò nel culto non sarà il momento per richieste personali, non si eserciterà il pregare per i peccatori o per le conversioni, non sarà l’occasione dei cori o delle recite di bambini, ma sarà un grande e solenne momento di ricordo del prezzo pagato da Gesù sulla croce, del risultato glorioso della sua opera, dell’esaltazione dell’amore del Padre versato per noi. Credo siano esortazioni superflue per coloro che capiscono cosa vuol dire adorare, ma sempre attuali per chi si affaccia alla fede. I credenti riuniti per espletare il culto, sono abituati ad attingere dalla pietà e dalle virtù di Cristo per non incorrere a ripetere la solita preghiera, fatta con le solite parole, ma cercheranno sempre dei termini nuovi che la vastità dell’opera di Gesù presenta. Non mancheranno risorse e argomentazioni per lodare compiutamente il Signore. In questo modo non si verificheranno proposte di inni perché musicalmente appaganti o perché preferiti dal ritmo, ma saranno consigliati dal ragionamento biblico suggerito o indicati dal Signore stesso. Per quanto riguarda la predicazione, l’argomento sarà sulla morte del Signore, sul Suo sacrificio e con il ricordo dei Suoi atti dolorosi; si proporrà un messaggio breve che non occuperà un lungo intervallo; non sarà nemmeno il tempo dell’evangelizzazione o dell’esortazione o ancora dello studio, ma un incoraggiamento alla lode e all’adorazione per l’assemblea riunita.

Al termine di questa riflessione vorrei ribadire che alla tavola del Signore, non esiste il dilemma dell’essere  più importante il gesto o il valore che esso esprime; non siamo noi a stabilire o a stilare una classifica secondo gusti d’importanza umana. A noi è dato di osservare scrupolosamente l’insegnamento della Parola di Dio, non alterando la memoria e i simboli di essa. Il richiamo insistente a integrarci con altri movimenti, denominazioni o chiese è un appello che sarà sempre più invitante e pressante. Quello che avvalora l’accesso a questa scelta è il battesimo, eseguito a piacimento, da bambino, da adulto, per immersione, con un po’ di acqua sul capo, non importa. L’importante è essere iscritto nel registro di una chiesa, non unito a Cristo nella sua vita per la fede comprovata dalla nuova nascita. Il battesimo è il passaporto o la chiave per accedere all’ecumenismo, cioè l’atto meno determinante per il cielo (Ev. Luca 23:43) Gesù disse: Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso, diviene per gli uomini religiosi del nostro tempo, il biglietto d’accesso per connubio religioso, immaginato e preparato per acclamare l’Anticristo a suo tempo. Occorre non farsi prendere dallo sgomento o dall’apprensione: un rimanente  fedele che non piega le ginocchia a Baal vi sarà sempre, preservato dalla misericordia divina e dal suo immenso amore. Cerchiamo dunque, di rigettare le ansimanti proposte ecumeniche, che pervengono in maniera ormai massiccia alle  nostre orecchie ben sapendo che al traguardo finale, nonostante le promesse vi è solo una grande desolazione.         

Ferruccio IEBOLE