UN RAVVEDIMENTO DEL QUALE NON C’È MAI DA PENTIRSI

Questa citazione estratta dalla seconda Epistola ai Corinzi (2 Ep. Corinzi 7:10) ci conferma del disegno di un progetto divino, per un percorso assistito dove risultino evidenti e ferme alcune fasi per raggiungere un traguardo spirituale molto preciso, che non sia messo in discussione da sentimentalismi o insicurezze di sorta umane, ma si elevi in tutto il suo splendore per dare gloria a  Dio e al Figlio, il Signore Gesù Cristo. Dunque un ravvedimento che una volta ottenuto non può più essere disatteso perché approdato alla fede nel sacrificio del Figlio di Dio, lì dimorante e alimentato dalla presenza divina, fonte di gioia, di felicità e di pace.

 Paolo, in questa lettera aveva rattristato i suoi interlocutori con uno scritto in cui evidenziava difetti, errori dottrinali e comportamentali non corretti dei Corinzi, ma alla base vi era un amore viscerale per questi credenti che sebbene appannati in alcuni frangenti non erano alieni o schivi delle cose che non passano mai, cioè le celesti.

 

Raggiunti dalla Parola

  Ora, quando un individuo è raggiunto dalla Parola di Dio e dalla sua potenza si innesta in lui uno spirito diverso che permette, seppure all’inizio di ponderare sulle cose eterne, farsi altresì opinioni su cui non aveva mai riflettuto e di considerare il tempo della vita che trascorre con un’altra ottica, forse più vicina a Dio. Poi, il messaggio evangelico della Parola preme più lampante e definibile come Verità, coinvolgendo la nostra coscienza, il cuore e la mente; allora un’analisi più seria e approfondita prende corpo al posto della superficialità. Qui inizia un processo di ravvedimento man mano che la Parola si scava un solco nell’anima di chi ascolta il Vangelo, perché le parole illuminanti toccano tutto l’essere umano fino a scomporre l’anima dallo spirito come afferma la Bibbia. 

Il fatto che l’opera di redenzione ottenuta da Gesù sia ancora così coperta nei suoi significati più importanti e astrusa alla maggior parte degli uomini, ci fa comprendere come nel terreno del ravvedimento vi sia tutto uno spazio perché l’Evangelo incida profondamente e smuova incrostazioni stabilizzate che sembrano inattaccabili. Dunque  è  la tristezza il primo elemento che emerge, la quale ritraendo la condizione dell’uomo peccatore davanti a Dio genera rammarico e vergogna. La tristezza può essere classificata con due specie, quella secondo il mondo e quella secondo Dio con obbiettivi diversi e contrari l’uno all’altro.

 Nel caso della tristezza secondo i canoni del mondo, manovrata dall’Avversario, essa si indirizzerà nella sfiducia sulle possibilità di perdono da parte di Dio, sulla nullità della Grazia divina e sull’inutilità dell’opera della croce, affondando nello scetticismo e nell’incredulità il cuore dell’uomo. Tutto dunque parrà inutile e adatto solo per produrre un fastidioso stato di indifferenza e malessere. Perchè allora interrogarsi sulla tristezza? Se ne osserva già molta nella vita: non sarà forse meglio la spensieratezza o la leggerezza del vivere? Oppure, basta avere una religione qualsiasi che contenga principi di buona condotta e inviti a buone relazioni tra simili, magari che si nomini anche cristiana e lasci liberi le persone secondo le loro certezze e convinzioni?

 

Portare alla salvezza

La seconda opzione ci trasferisce invece in un quadro dove preminente diventa questo sentimento di tristezza alimentato da parte della Parola di Dio, che senza mezze misure costringe l’uomo a prendere visione del pensiero e del verdetto divino: (Ep. Romani 2:8) “Ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla Verità ubbidiscono all’ingiustizia”. Questo passo è seguito dall’affermazione che dice: (Ep. Romani 3:10-11) “Non c’è nessun giusto, neppure uno. Non c’è nessuno che capisca, non c’è nessuno che cerchi Dio.

Orbene, stante questa condizione dell’uomo, fatta propria e credendola per la fede, è perciò conseguente la tristezza di tale situazione e l’assenso convinto che la Parola di Dio è vera, occorra crederla e assoggettarsi ad essa con fiducia. Se ciò avviene il pentimento e il ravvedimento saranno ciò che lo Spirito Santo, utilizzando anche la tristezza del cuore, opererà facendo intravvedere con preziosa e chiara luce il piano salvifico proposto dalla Grazia del Padre e realizzato da Gesù Cristo al Golgota.

Ecco perché secondo Dio il ravvedimento porta all’esaltazione dell’opera di Gesù sulla croce, è la comprensione del valore del sacrificio di Gesù la chiave di volta per raggiungere la salvezza per Grazia e per fede, cosi ben espressa da Paolo nella lettera: (Ep Efesini 2:8) “Infatti è per Grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio”.

Dunque occorre prendere seriamente in considerazione il messaggio evangelico e attenersi a esso scrupolosamente perché faccia il suo corso nella Verità, illuminando il cuore e la mente dell’individuo; esso è la via per arrivare alla anelata salvezza. Il punto cruciale è proprio questo, lasciarsi modellare dalle affermazioni della Bibbia che rivolge una santa chiamata individuale alla Verità per essere salvati. Orbene, è evidente che l’opera di Gesù ha bisogno di spiegazioni perché il perdono dei peccati acquisito da Gesù Cristo sulla croce, sia inteso, creduto in fede e ricevuto, quella fede che deriva dall’insegnamento e dalla luce dello Spirito Santo che dipana la Verità.

Un versetto illuminante

(Ep. Efesini 2:13) “Ma ora, in Cristo Gesù, voi che eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo”. Ecco il nuovo elemento che accompagna il ravvedimento e il pentimento, sapere che nonostante la lontananza dalla santità di Dio, noi siamo avvicinati per immeritata Grazia dal Signore Gesù, il quale in obbedienza al Padre è venuto a riscattare  i peccatori come noi. Lo ha fatto non con discorsi filosofici, con proclamazione di una religione contenete regolette da seguire, non con pratiche o  deleghe ad altri uomini religiosi, ma con l’apparizione miracolosa della Sua persona nel mondo e con il suo sangue, cioè qualcosa che fosse  ben visibile e inoppugnabile per tutto il mondo.

Allora, ecco il sacrificio che nessuno può negare, dove la morte cruenta sulla croce era accompagnata dalla visione di uno spargimento del sangue che colava dal suo corpo innocente, martoriato e vilipeso non solo da chiodi di ferro, ma dalla cattiveria  e dall’odio del mondo, cioè il nostro agire. L’avvicinamento a Cristo fatto in questo modo permette appunto l’accoglienza in fede di chi capisce che quella è l’unica via per la salvezza, voluta dalla Grazia divina e offerta gratuitamente da Dio, soddisfatto nella Sua giustizia da tale atto consumato dal Figlio sulla croce. Tanto è vero che: (Ep. Efesini 2:14) “Lui, (Gesù) è la nostra pace”.

Ecco il traguardo che non viene mai meno, inalienabile per chi si affida a Cristo e si lascia modellare da Lui nella vita celeste, in vista dell’eternità con Dio, il Figlio e lo Spirito Santo. 

La pace di Gesù è ciò che speriamo per chi legge le semplici note che forniamo, le quali ci rallegrano perché sappiamo condivise  con interesse spirituale da altre persone.

 Ferruccio Iebole

 

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