COSÌ TI HO CONTEMPLATO

Nel Salmo 63-2 il verso recita in questo modo: “Così ti ho contemplato nel santuario, per vedere la tua forza e la tua gloria”. Che bella espressione ed sublime esperienza compie il salmista in un apice di spiritualità che denota una comunione vivente con Dio stesso, in un’estasi molto intensa che descrive al verso primo, come l’anima e il corpo dello stesso anelino a quella presenza e contemplazione come una terra arida e languente, in attesa spasmodica di acqua, cioè di ristoro e di vita per ritornare a una condizione di prosperità e di requisiti fruttiferi. L’intensità forte e  poetica caratterizza questi versi, si coglie completamente e profondamente il miraggio del risultato dato per certo, sebbene la materia cioè la fede, sembri qualcosa di aleatorio, di inconsistente dal punto di vista umano.

Invece tutto è concreto, chi legge può immedesimarsi e approvare l’obiettivo finale. E’ vero, vedere la forza divina e la gloria celeste si tratta di sensazioni, ma attraverso la fede l’appagamento è certo, perché qualcosa di una gioia arcana e celeste è messa in moto, raggiunge il cuore del contemplatore in attesa e dell’adoratore convinto. La gioia celeste come un’energia nascosta e invisibile sembra evanescente, ma basta girare un interruttore per vederne e cogliere i benefici di una luce effervescente

Certamente il salmista non contemplava per il solo fine di vedere forza e gloria celesti, quelli erano accessori alla contemplazione, che nascondeva un’essenza d’amore grandiosa, una grazia meravigliosa che dall’Alto raggiungeva una stanza terrena dove stazionava un’anima e un corpo disteso su un giaciglio  in attesa di vita.

 

Cercare Dio all’alba

  (Salmo 63:1) “O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall’alba; di te è assetata l’anima mia, a te anela il mio corpo”. Dunque la ricerca incomincia all’alba, avanti che le incombenze della vita con le sue oppressioni inizino a macinare le ore. In una pace ancora crepuscolare il salmista si mette in attesa degli sviluppi, dopo la preghiera di ringraziamento per l’accesso a un nuovo giorno, presenta la sua persona alla grazia divina e salvifica, per raggiungere quella posizione privilegiata della contemplazione.

La visione e lo sguardo di fede non sono confusi, irreali o informi, il richiamo per percorrere la via contemplativa è sicura; alla fine l’incontro con Dio sarà  vero e fruttuoso. Orbene stabilire la comunione con Dio tramite il sacrificio di Gesù è quello che la Bibbia ci suggerisce affinché abbiamo certezza di raggiungere lo sguardo benigno del Salvatore, che risiede nel Santuario alla destra del Padre e intercede per i suoi.

Gesù promette nel verso (Salmo 63:5) L’anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso, e la mia bocca ti loderà con labbra gioiose”; si, uno spirito dove l’abbondanza di un cibo succulento e non asfittico sia riscontrabile e dia sapore in bocca, alle labbra, che possano esprimere soddisfazione e lode per gli effetti e i gusti provati. Guardando a Gesù, (Ep. Ebrei 12:2) “fissando lo sguardo su Gesù, Colui che crea la fede e la rende perfetta”, ecco la sintesi, si, Creatore della fede che la rende perfetta in quell’azione preziosa, la quale comunica grazia ai peccatori e rigenerazione tramite il suo Spirito Santo.

E’ nella luce dello Spirito che la gioia celeste appaga il cuore in attesa; ancora è la contemplazione del Figlio che apre la fede perché si solidifichi nelle sue mani e diventi perfetta in virtù della sua vita ormai indissolubile, la quale propone ancora visibili e riscontrabili le gravose sofferenze subite alla croce come segni indelebili. Le sofferenze di Gesù non possono svanire o essere sfumate perché caratteristiche che accompagnano la sua manifestazione e distinguono il Salvatore come unico Mediatore tra cielo e terra, l’unico degno di onore e di gloria.

 

Rallegrarsi in Dio e gloriarsi

I due obbiettivi accessori alla contemplazione sono raggiunti: (Salmo 63:11) “Ma il re si rallegrerà in Dio; chiunque giura per Lui si glorierà, perché ai bugiardi verrà chiusa la bocca”.  Una notevole differenza vi è fra la bocca piena di grasso perché lubrificata dalla Parola e dalla speranza di Dio, e quella dei bugiardi che sarà chiusa perché non proferisca falsità. La bocca del salmista è adatta a glorificare il Signore, dopo essere stata presente nella contemplazione del Salvatore e aver visto la sua forza e la sua gloria. Per i bugiardi che non sono entrati nella contemplazione resta un’attesa di silenzio. Non vi sono esclamazioni di giubilo o di lode, non si è creata quella fede perfetta maneggiata da Gesù, non si è  messa in moto la fede vera.

Quelle sofferenze documentate e annunziate nel Vangelo non trainano nel percorso virtuoso, sono ritenute ininfluenti; forse basta un’infarinatura religiosa per acquietare quella domanda di acqua in un corpo riluttante la Verità. Per il salmista invece si tratta di assicurarsi, addirittura di giurare se ve ne fosse bisogno, di una effettiva esperienza gloriosa con il Signore che dona gioia e felicità nell’incontro armonioso di Grazia e di Fede, che nessuno può disattivare o diminuire. Dunque la gloria e la forza della contemplazione ci induce a rivolgersi fiduciosi nel Signore per ricevere l’acqua della Parola di Dio, del Vangelo come bevanda inestinguibile, sempre pronta a dissetare chi è assetato della giustizia di Cristo.

 

Uno sguardo attento

Se la forza e la gloria attorniano la presenza del Signore nel santuario e il salmista ne vede i contorni per fede nello sguardo intenso del Redentore, occorre pensare altresì ad un altro sguardo attento, indagatore, pronto a cogliere nel sentiero del ravvedimento ogni impercettibile movimento. (Ev. Luca 15:20) “Mentre Egli era ancora lontano, suo Padre lo vide e ne ebbe compassione: corse, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò. Il Padre del figlio prodigo ci rappresenta in modo inequivocabile quell’acqua che scende in terra arida, la quale è sensibile a ristabilire comunione e vita con chi si ravvede. Un processo vitale e continuativo, sempre rispondente alle esigenze per ravvivare una vita languente e sbiadita, inutile e quasi evaporata.

Lui, Padre amoroso è sempre all’erta, in attesa di quel primo passo perché la fine e il traguardo siano i baci e l’accoglienza nella gioia più pura e avvolgente. Quei passi nella via del ritorno, come quelli della contemplazione del Figlio, hanno un suono particolare che non sfuggono allo sguardo e alle orecchie attente del Padre, vigile e premuroso nel cammino dell’amore, della riconciliazione e della benedizione.

L’epilogo del racconto del figlio prodigo ci parla ancora di un grasso del vitello e del bisogno  di coronare l’evento con la festa. (Ev. Luca 15:32) “Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. E’ vero, il miracolo della vita si protrae ogni qual volta un cuore si accosta a Dio per celebrarlo e ricevere vita e conforto, le lingue di fuoco dello Spirito non confondono l’indirizzo, dove v’è ravvedimento e pentimento in un cuore, lì vi è l’azione benefica della contemplazione e dell’adorazione verso il Signore ispirata dallo Spirito Santo.

È ciò che speriamo ardentemente per i nostri cari lettori che raccomandiamo alla Grazia divina.

 Ferruccio Iebole

 

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