LA PARABOLA DEL FIGLIO PRODIGO

Una parabola che racchiude un grande insegnamento ancor oggi, non solo per l’amorevole ritorno nelle braccia del Padre.

La parabola del Figlio prodigo ha moltissime valenze interpretative, ognuno può vedere la propria esperienza di conversione al Signore, riflessa nella storia evocata, può scorgere nel racconto lo stato di peccato insito in noi stessi, la propria morte spirituale, ma altresì distinguere l’amore di Dio e la sua misericordia. Un’analisi approfondita può essere riscontrata discernendo un aspetto particolare della predicazione di Gesù, rivolta ai suoi contemporanei, perciò estesa a tutti gli uomini di ogni tempo essendo la sua Parola, un verbo eterno di vita, intramontabile e portatore della sua grazia. Prima di pronunciare questa parabola, il Signore Gesù predica intorno a una porta stretta (Ev. Luca 13:24) Sforzatevi di entrare per la porta stretta perchè io vi dico che molti cercheranno di entrare e non potranno. Utilizzando la logica mondana queste parole sembrano il solito traguardo irraggiungibile proposto dal solito predicatore, dal solito filosofo e forse dal solito politico, per far sentire in colpa e inappagato il desiderio di raggiungere un traguardo inaccessibile. E’ certamente una tecnica per tenere uniti gli ascoltatori e proporre un obiettivo fuori portata. Ma conoscendo Gesù, tutto ciò non è a Lui imputabile perché le sue parole persuasive devono essere ascoltate con le orecchie del cuore e i suoi scopi sono la redenzione gioiosa del peccatore e trasformarlo in un suo testimone. Dunque, il suo invito a entrare in una porta stretta prevede una difficoltà nell’accesso a causa dell’angusto spazio d’entrata e un poter addentrarsi che richiede preventivamente un certo percorso.

Una porta invitante

 L’intenzione di Gesù è chiara: la porta non è una porta moltitudinistica, larghissima e accomodante, cui tutti entrano con indifferenza, con superficialità o con disinteresse. Un limite numerico di gente che entra è previsto a causa dello sforzo per accedervi, la porta è un approdo e il cammino per raggiungerlo è pregno di distrazioni mentali, di inciampi di ogni genere, compresa una dissuasione superiore e spirituale molto attrattiva, di ostacoli come spine e rovi, di preoccupazioni materiali che si oppongono. Quindi, non una porta larga per tutti, ma per quelli che accedono a certi requisiti per entrare, dopo che hanno inteso in profondità e in verità l’invito celeste. Una selezione preventiva avviene naturalmente, molti non sono disponibili per il percorso, hanno altri interessi; altri intraprendono il cammino ma rinunciano ben presto, ad altri ancora  sembra mancare l’aria, quasi una specie di soffoco: meglio  abdicare. Infine vi sono quelli che si appropriano dell’invito, non si fermano a contemplare le loro scarse forze, non si abbattono ne si scoraggiano, si fidano del sostegno insito nell’invito e del destinatario, che presente alla porta incita a raggiungerlo con fiducia. Ecco spiegato” quel non potranno” perché l‘invito generale non produce l’accesso per tutti, vi entrano solo quelli con il requisito della fede. E se alla fine alcuni avranno dei ripensamenti, essendo scaduto il tempo favorevole per accedere alla porta stretta, non potranno essere riconosciuti e la loro identità, ritenuta non idonea per entrare. Perciò occorre riflettere sull’invito e sul tempo propizio per varcare la porta. (Ev.Luca 13:27) Allontanatevi da Me.

Altre due parabole significative

Detto questo, Gesù prosegue nei miracoli e nelle parabole come raccontano gli Evangeli. Poi arriva alle parabole eloquenti della pecora smarrita e della  dramma perduta, dove la caratteristica non è più il banchetto (Ev. Luca 13:29) e staranno a tavola nel regno di Dio; ma la gioia e l’allegrezza ( Ev. Luca 15:6-7) Rallegratevi con me perché ho ritrovato la mia pecora perduta. Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti.  Oppure in (Ev. Luca 15:10) Così vi dico: v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede. Questi sentimenti e sottolineature le troveremo ancora nella parabola del figlio prodigo; domanda: non erano sufficienti queste due parabole per illustrare la salvezza per fede? Evidentemente no! Ora è importante mantenere presente lo sfondo di allegrezza che si manifesta nei cieli e fra gli angeli, quando avviene un ravvedimento, una conversione, il giubilo celeste è una peculiarità connessa ad un peccatore che va a Cristo, fruitore del perdono per fede e della gioia ineffabile donata dallo Spirito Santo. Sotto questa luce e a quel punto, Gesù introduce la parabola del prodigo per indurre i suoi ascoltatori a riflettere sulla legge e sulla grazia, perché ognuno fosse attrezzato a comprendere quale fosse la reale differenza tra i due  messaggi e come quel (Ev. Matteo 5:21) MA IO VI DICO, ripetuto per sei volte, assumesse un valore fondante. E’ interessante che l’evangelista Matteo affermi in (Ev. Matteo 5-2) Ed Egli aperta la bocca insegnava loro dicendo; la sottolineatura sta in aperse la bocca, come a dire, non solo insegnava  ma quelle parole uscivano dal profondo cuore e voleva trasportare gli ascoltatori nella dimensione non solo del ragionamento, ma che potessero sentire i battiti spirituali e di vita, insiti nel suo discorso. Allora, quando propone il racconto dei due fratelli, che rappresentano i due momenti delle dispensazioni divine, cioè la legge e la grazia, l’accento che Gesù pone è sul percorso e sul risultato. Come nel racconto della porta stretta anche qui v’è un frammento di vita, comprendente decisioni, obblighi, intoppi, pulsioni, sentimenti e gioie.

Due figli: due prospettive, due risoluzioni

In primo luogo occorre precisare l’origine dei figli: tutti e due discendenti da un atto d’amore paterno e indirizzati al bene salutare e alla crescita protetta. Il figlio maggiore purtroppo non ha mai capito appieno l’amore paterno, ha sottovalutato la misericordia del padre, nè compreso la sua compassione, abbraccia solo il ruolo di servo (Ev.Luca 15:29) ecco da tanti anni ti servo. Il traguardo del suo lavoro è poter vantare ed esaltare il suo orgoglio di non aver trasgredito nessun ordine e di ritenere il padre un suo debitore, come Caino offrì (Genesi 4.3) Caino fece un’offerta di frutti della terra al Signore, così questo figlio proroga la medesima idea, facendo divenire inadempiente o perlomeno imperfetto l’agape paterno. E’ anche un tipo irritabile (V. 28) si irritò, e sulla comunione ha un senso deviato del genitore, lo ritiene inavvicinabile nel dialogo, non detiene una sincera confidenza. Pensando alla compagnia preferisce quella dei suoi amici ritenuti più importanti di una presenza paterna. Infatti è indifferente alla comunione (V.28) non volle entrare, soggiunge la Scrittura. Sorge il sospetto che il suo cuore sia colmo del proprio io e d’avarizia (Ep. Efesini 5:5) Avaro (che è idolatra) non ha eredità nel regno di Dio, quando afferma (v. 29) A me però non hai dato neppure un capretto.  Ciò che interessava era il capretto, però mai richiesto; forse se rimaneva nell’ovile poteva divenire un procreatore e aumentare il gregge. Ecco l’accumulo, l’avarizia; se gli amici erano importanti vi sarebbe stata una richiesta, ma nel racconto non v’è traccia, se non l’accenno per far sentire in colpa il padre di una cosa mai dichiarata e richiesta.

Il genitore lo prega di entrare nella festa, nel convito, in uno slancio amorevole  esce (come col prodigo) e lo invita con una specie di preghiera, che prospetta la sua umiliazione dall’autorità, un annullamento di giudizio, una longanimità pur di avere ambedue i figli assieme alla sua tavola. La comunione deve essere perfetta, di qui la supplica paterna. Il diniego del figlio maggiore a entrare nel banchetto, nella gioia ed allegrezza, è eloquente sulla sua solitudine e sullo sguardo rivolto su se stesso. Una bella immagine sarebbe stata  quella di veder entrare padre e figlio e varcare la porta assieme, simbolo perciò di una presenza paterna assicurata, quando si entra nella porta, dimensione equivalente della salvezza proposta da Gesù. In questa parabola, per il figlio maggiore il percorso non è stato compiuto a causa della debolezza del carattere e il traguardo mancato a causa della volubilità morale, infine un risultato non conseguito, sebbene le condizioni favorevoli erano state abbondantemente poste. Ciò nonostante Paolo dice in (Ep. Galati 3:23-24) Ma prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi sotto la custodia della legge in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo, affinchè noi fossimo giustificati per fede. La legge dunque non ha prodotto nulla se non di indicare nel Messia veniente, Colui che avrebbe risolto il riavvicinamento, il raccordo, posto i presupposti per la vera fede in Dio (Ep. Romani 10:4) Poiché Cristo è il termine della legge per la giustificazione di tutti coloro che credono. 

Una lucida morale da trarre in questa parte del racconto è che quelli i quali vogliono operare non entrano nella festa, nella gran festa e nei rallegramenti (V.32).A questo riguardo l’apostolo Paolo spiega con chiarezza prendendo esempio dalla vicenda di Abramo; (Ep. Romani 4:4-5) Ora a chi opera, il salario non è messo in conto di grazia, ma come debito, mentre a chi non opera ma crede in Colui che giustifica, la sua fede è messa in conto come giustizia.  La via della grazia è scevra dalle opere meritorie, la grazia ottenuta da Gesù è sufficiente a redimere i peccatori che credono al Suo nome e alla sua opera giustificatrice (Ep. Romani 5:1) Giustificati dunque per fede abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

Una vita sprecata

Il secondo fratello, come detto, rappresenta la grazia; per essere attiva essa deve svilupparsi verso un individuo immeritevole, disdicevole, territorialmente lontano, con addosso i caratteri della morte per se e nel modo di ragionare. Infatti l’esperienza che propone è quella di richiedere l’eredità. Solitamente si perviene all’eredità dopo la morte del genitore, ma per la mentalità del figlio in questione, il padre era già morto, quindi non riconoscendolo ancora in vita chiedeva anticipatamente il lascito. Sul valore dell’eredità, ricchezza non quantificabile, il suo contributo manuale non viene rivelato, ma la parte ricevuta è sufficiente a far apparire come vita la dissoluzione, i piaceri meschini, lo sperpero accattivante. Queste attitudini svolte nel paese lontano, indicano un percorso nell’anonimato; lontano vuol dire anche sconosciuto, dove l’identità ha bisogno di essere riconosciuta da altri pari. Anche in questa seconda parte vi sono degli amici, immersi negli stessi vizi e indirizzati nella stessa baldoria. Quando l’illusione di vita agiata finisce per l’esaurimento dei fondi ecco una nuova prospettiva di vita: un impiego procurato dalla sapienza degli abitanti indigeni dei luoghi lontani. Trovare la saggezza nel consiglio per il lavoro proposto è veramente assurda. Sovente i metodi e i consigli mondani sono apparentemente  di buon senso, a volte trascinatori di degrado e fame. Scendere in Egitto o a Babilonia, anche per semplice lavoro è indice di disaffezione alle cose celesti e il rischio, alla fine, è pascolare dei maiali. L’ambito lavoro per la sopravvivenza, si rivela una situazione destinata alla fame e una via diretta per l’estinzione, perché nessuno l’aiuta o gli procura le ghiande per cibarsi. E’ superfluo concludere che una situazione simile non può portare che a un solo risultato: la morte. Ma succede e prende avvio il ravvedimento. L’immagine della vita familiare, delle parole calde e affettuose del padre, del vero pane nutriente e abbondante sono i ricordi propedeutici per una nuova speranza. Il ritorno alla casa del padre prende forma prima nella mente del prodigo con il ravvedimento, poi con la conversione dell’apprestarsi nel viaggio e ancora nel programmare una confessione dei peccati credibile agli occhi del genitore.

Un percorso reale valevole per tutti

Il percorso per arrivare alla meta della casa del Padre è sempre difficile per l’orgoglio insito nell’uomo, il riconoscersi bisognosi d’aiuto da parte di Dio per la propria redenzione  sembra inverosimile. Invece è solo una questione di abbandono risolutivo come ben specificato, nelle braccia del Padre. Il percorso del prodigo verso la vita è puntualizzato dalla forza del progetto di essere accolto e nell’amore paterno già sperimentato dal concepimento e dalla cura per la crescita. Durante il cammino il prodigo usa la fede, in una cosa non ancora avvenuta ma realizzata nel suo cuore, esercita la speranza di essere accolto con cura genitoriale, confida nella carità paterna che ricorda e conosce nell’esperienza. La confessione di peccato (V.18) Padre ho peccato, è preparata con cognizione, e (V.19) fammi un tuo servo è il massimo che egli stesso si concede in virtù della disubbidienza passata. La storia però prende un altro indirizzo: si deve materializzare la grazia e conferire la visione sorprendente del Padre, assieme al traguardo della gran festa. Ritorna la parola lontano, ma in senso positivo,  infatti la Bibbia racconta: (Ev.Luca 15:20) ma mentre era ancora lontano suo Padre lo vide. Questo rivela l’attenzione mai scemata in un futuro di ravvedimento atteso dal genitore nei confronti del figlio, una preveggenza esercitata con assiduità e una vigilanza premurosa. Il padre oltre all’interesse visivo manifesta alcune azioni come la compassione, il correre incontro al prodigo in segno di accelerazione dei tempi dell’incontro, l’emanazione di un amore smisurato quando si getta al collo del figlio, quando da sfogo a intense effusioni baciando e ribaciando il ritrovato. La confessione di peccato viene pronunciata, non solo immaginata, e questo è un pilastro per il prosieguo.

Un Padre misericordioso in se stesso

Il padre è il padrone della situazione, l’immagine negativa (V. 21) ho peccato contro il cielo, diviene un cielo festante tramite gli angeli perché l’identità vitale di un figlio è ritrovata, perciò occorre fare gran festa. La gioia celeste deve trasformarsi in una manifestazione visibile anche in terra. Come la Scrittura insegna, sovente gli invitati alla feste bibliche raccontate, devono indossare abiti adatti forniti dal padrone di casa affinchè nessun intruso si materializzi in mezzo agli invitati, indipendentemente dai requisiti precedenti. Nella parabola delle nozze, (Ev. Matteo 22:10) i convitati erano di bassa lega, con problemi corporali, con menomazioni nell’articolazioni e nell’aspetto; questo non impediva la partecipazione perché oltre all’invito vi era provveduto anche l’abito da cerimonia celebrativa (Ev. Matteo 22:11) e notò là un uomo che non aveva l’abito di nozze. Anche in questo banchetto di letizia e gioia, si poteva vedere con meraviglia la vesta più bella, che non era solamente bella esteticamente ma certamente preziosa nella tessitura, nei ricami e negli intarsi cuciti con pietre preziose. In secondo luogo, vi era l’esposizione di un anello preziosissimo, segno di attuale lignaggio, cioè di dono immeritato ma dispensato con grandezza per coronare quelle mani sperperatrici con nuova dignità. I calzari ornavano certamente dei piedi che da conduttori verso l’estraneità, l’allontanamento, erano divenuti polverosi mezzi per un ritorno; ora dovevano essere fregiati per un nuovo sicuro cammino e calpestare un terreno di comunione felice con la casa paterna. I passi dovevano esternare la nuova posizione, emanando l’autorevolezza del figlio rientrato in possesso morale della restante eredità. Il vitello ingrassato, cioè conservato e accudito per l’evento, il resto dei cibi succulenti, le musiche e le danze ci parlano dei vari aspetti estetici e concreti della festa, preparata sotto la sapiente supervisione del padrone di casa. Era la vera esaltazione della grazia, della misericordia e del perdono incarnati in un memorabile connubio indirizzato a rallegrare la ricomposta famiglia e gli invitati al banchetto.

Un finale con il trionfo della Grazia

La porta di quella casa era aperta ma qualcuno non voleva entrare: i motivi che impediscono l’accesso sono molti, li abbiamo elencati precedentemente e risiedono visivamente nella carne del figlio maggiore.  Paolo a questo riguardo diceva dopo aver analizzato in profondità l’argomento legge: (Ep. Romani 7:12-15)  Così la legge è santa e il comandamento è santo, giusto e buono. Si è tutto perfetto però: E’ invece il peccato che mi è diventato morte, perché si rivelasse come peccato, causandomi la morte mediante ciò che è buono; affinchè per mezzo del comandamento il peccato diventasse estremamente peccante. E ancora ( Ep. Romani 7: 19-24) il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio quello faccio…Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Si il grande dilemma della legge sembra senza soluzione a causa del peccato e della debolezza umana, ma ecco apparire la risoluzione: (V 25) Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Gesù è il mezzo definitivo e determinante per ricevere la grazia che permette di accedere alla porta ed entrare dove vi è la gran festa. Gesù è ancora la Vittima e l’Alimento che rallegra il banchetto, è l’Autore della veste di giustizia con cui ci  rivestiamo per la festa, è l’Artefice della comunione in terra e nel cielo, è Colui che procura l’accoglimento e la benedizione del Padre Celeste. In conclusione: quello che la legge non compie, Gesù Cristo l’ha compiuto sulla croce in favore di tutti i peccatori, donando la possibilità di accedere gratuitamente alla salvezza e alla felicità, come terminava la parabola del figlio prodigo. Allora perché non considerare quale privilegio si ha leggendo l’Evangelo, di poter appropriarsi di tutte quelle informazioni di vita spirituale racchiuse nella Parola eterna, consegnata a noi per grazia e ascoltare l’invito derivante dal cielo ancora oggi? Il (Salmo 119:130) dice: La rivelazione delle tue parole illumina; rende intelligenti i semplici. Così sia per tutti.        

Ferruccio IEBOLE

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